domenica 30 settembre 2007

risotto con succo di vitello e pere



Premessa: è da un po' di tempo che vorrei riuscire a fare un risotto Buono. Non buono come i soliti risotti che producevo, Buono con la B maiuscola. Come quelli cremosi che si mangiano talvolta in giro, con la mantecatura al punto giusto. Domenica mattina, mi è ricapitato tra le mani il libro di Oldani, l'ho risfogliato brevemente e il bigliettino da visita preso al D'O era proprio lì, nella pagina della ricetta di un risotto. Leggo bene, certo, non ho il vitello, ma il supermercato dietro casa è aperto e vende ottima carne. Morale, ho provato a seguire quella strada, non ci ho messo la pasta di salame, come dice lui, e anche il succo di vitello è un po' a modo mio... ma ne è uscito il miglior risotto che abbia mai fatto.

per due

170 g di buon riso
2 cucchiai di parmigiano grattugiato
1 noce di burro
brodo vegetale (1 carota, 1 gambo di sedano, 1 cipolla)

per il succo di vitello

500 g di ritagli di vitello (e qualche osso)
1 carota
1 gambo di sedano bianco
1 cipolla grossa
olio extravergine d'oliva

una pera (io ho usato la kaiser)

Preparate il succo di vitello con un po' di anticipo. Fate rosolare con un po' d'olio le ossa di vitello lavate in forno caldo per qualche minuto. Mettete in una casseruola con un filo d'olio la carota, il sedano e la cipolla finemente tritati, i pezzi di vitello e le ossa e rosolate a fuoco vivace (si dovrebbe "attaccare" un po' la carne, senza bruciare). Sfumate con acqua e coprite. Fate cuocere così per circa tre ore. Trascorso questo tempo, passate al colino il tutto, raccogliendone il succo, che continuerete a far cuocere dolcemente finché si sarà ridotto della metà, e rappreso. Tenete da parte qualche pezzo di carne, che taglierete sottile per decorare il risotto. Se volete fare più succo di vitello, vi servirà molta più carne, perché alla fine ne resta ben poco di succo.

Per la cottura del riso, ho evitato il soffritto. Oldani non lo fa, e nemmeno lo usa fare il cuoco del Teatro 7 a Milano, dove ho avuto occasione di assistere alla preparazione del risotto durante una serata. Viene benissimo così: fate tostare qualche minuto il riso su una pentola antiaderente, senza grassi. Pian piano aggiungete il brodo vegetale e verso la fine di cottura il sale. A fuoco spento mantecate col parmigiano e una noce di burro.

Ponete il risotto su una fondina, distendendolo bene. Versateci sopra un velo di succo di vitello, le fettine di vitello e la pera tagliata sottile. Un pizzico di pepe per finire.

venerdì 28 settembre 2007

meme time: 8 cose su di me

Marco Loste mi ha invitata a questo meme. E siccome tra di noi non ci si conosce quasi ma magari con qualcuno ci si conoscerà, trovo simpatico presentare un lato di noi che non sia legato al cibo. Leggendone altri in giro, mi è piaciuto.

1) il mio primo bacio l'ho dato ad Andrea. Eravamo in quinta elementare, facevamo spesso i compiti insieme, a casa sua, non lontano dalla mia. Spesso optavamo per darci tanti bacini invece di scrivere le tabelline. Andrea ha sposato mia cugina ora. E lei sa tutto, ovviamente. :-)

2) alle medie la mia compagna preferita era la Sandra. Era una pazza (e forse lo è ancora, anche se ci siamo perse di vista). Si attaccava durante le lezioni all'attaccapanni, che rimaneva un po' nascosto dal prof, e si dondolava, tirando su le gambe come una trapezzista mentre mi chiamava piano: guarda guarda, diceva. Un giorno è caduta, staccando l'attaccapanni dal muro, tutti i cocci per terra. Mentre scrivo ancora mi scappa da ridere. Ho stampata dentro l'immagine di lei per terra, che ride come una matta, l'attaccapanni caduto, il muro in pezzi, la prof furibonda, le stelline a mo' di fumetto che girano sulla sua testa!

3) quando andavo al liceo studiavo spesso la sera, sono sempre stata una nottambula, mi concentro maggiormente nelle ore buie, anche adesso. In quegli anni ho capito che non mi serviva studiare molto per riuscire, ero nata un po' con la camicia, la fortuna mi baciava spesso, mia mamma me l'ha sempre detto. Ne ho avuto la riprova una volta che avevamo il compito di filosofia su Kant. Non l'avevo mai studiato, perché ero stata da poco interrogata e mi ero ritrovata a studiare tutta la ragion pratica, pura e del giudizio in un sol giorno. Impossibile apprendere tutto. La mattina avevo mille concetti fumosi nella mente. In 50 minuti di corriera, chiesi alla Marielda di sciogliermi qualche nodo che avevo. Presi più di lei, povera...

4) il week end migliore della mia vita l'ho passato con Simona. E' stato il 7-8 maggio di due anni fa, a Torino. Ci eravamo andate per due motivi: 1) il salone del libro, 2) per incontrare Fabrizio, che avevo conosciuto in internet scaricando musica. Ripensandoci ora, non è stato tanto questo incontro a rendere il fine settimana così brioso, anche se chiaramente c'era dell'aspettativa, non delusa, se non in seguito, quanto un tutto che ci ha fatto ridere come due matte dall'inizio alla fine. Eravamo ubriache di noi, di lacrime di gioia per le sciocchezze che solo a noi possono far ridere. Dal dire "ho sete" dentro al salone del libro, voltarsi e trovare casualmente una bottiglietta d'acqua chiusa e abbandonata che ci guardava, dal cercare la strada per Nichelino all'una di notte guidando in una città sconosciuta, con in corpo chupitos preparati appositamente per noi, la voce che s'era fatta roca, passare davanti alla Fiat e a Stupinigi, chiedersi chissà dove siamo, ma arriveremo mai? e ritrovarsi magicamente a Nichelino, buttate sul letto, con la fatica di infilare la chiave nella toppa, e risvegliarci al mattino, un mal di testa tremendo, ma felici.

5) amo il bianco, il mio colore preferito. La mia casa è bianca, e accogliente. Amo il bianco d'estate, i colori chiari d'inverno. La neve quando, cadendo, rende l'ambiente profumato di neve.

6) non credo di essere cambiata molto nel tempo, nonostante sia cresciuta e abbia cambiato città. Se rileggo il mio diarietto di quand'ero adolescente, dove scrivevo con dettagli maniacali ogni cosa che facevo, mi ci ritrovo parecchio nel modo di sentire e affrontare le cose. Le ultime pagine di quel diario contengono una descrizione di me e, a rileggerla ora, pare scritta qualche giorno fa. Che sia ferma (nel senso che non vado avanti) o ferma (nel senso di fermezza di carattere)?

7) ho una paura immensa di perdere qualcuno che amo. Di scoprirmi sola, di trovare la mia famiglia senza equilibrio. Già è successo una volta, e tutto ora mi sembra precario. L'equilibrio si raggiunge di nuovo e ci si allena a una nuova vita, ma adesso non vorrei accadesse più.

8) le amicizie sono la cosa più importante per me. Amo, e se amo, amo incondizionatamente, ma sono conscia che l'amore può finire. Un'amicizia resiste.

A chi ribaltare ora tutto ciò? Molti di voi l'hanno già fatto... lo giro a Simona, la mia coinquilina, a Elisa, che ancora non s'è applicata e a Francesca.

mercoledì 26 settembre 2007

shropshire?



Voglio andare in Inghilterraa! Ci furono anni in cui quasi tutti gli anni facevo tappa in Inghilterra. Gran paese! Mi è sempre stato dentro, soprattutto dopo l'avventura come ragazza alla pari a Londra. Mi son ritrovata alla mia tenerissima età di 17 anni e mezzo, tanti ne avevo nel giugno 1989, con tre, dico tre, bimbetti di 2, 3 e 7 anni, del Ghana, bellissimi ma pur sempre tre! E non contenta, dopo che con Rinetta avevamo visitato tutta Londra, i dintorni, persino il Museo dei trasporti, mi sono infilata a lavorare da McDonald's... ma questa è un'altra storia, che magari vi racconterò. Che estate quella, mamma mia! Preludio all'ultimo anno di liceo, alla maturità. Certo però che lo Shropshirenon lo conoscevo... questa contea al confine del Galles e non lontana da Birmingham, che pare guardare l'Irlanda, una delle meno popolate d'Inghilterra, molto verde e rurale. Dove, se non lì, potevano ricavare un formaggio così simpatico? Giallo, quasi a rallegrare i verdi prati di quel posto.. me li immagino, le casette tutte uguali, qualche farm, le mucche sparse qua e là, ci voglio andare! In verità, lo Shropshire Blue pare avere origine in Scozia. E' un formaggio giovane, creato meno di 30 anni fa, e il suo sapore è simile allo Stilton, meno forte di un Roquefort, la consistenza è cremosissima. Il colore è dato dal frutto tropicale annatto, originario dell'Amazzonia. Ho voluto riprodurre la ricetta di questo grossista che c'era a Cheese, perché ce l'ha raccontata con un entusiasmo che trapelava dagli occhi. La preparazione del piatto è semplice, fate fondere a bagnomaria un pezzo di Shropshire blue e stemperate con del latte. Io ci ho aggiunto un pizzico di prezzemolo e pepe. Condite gli gnocchi così, semplicemente, spolverizzando con delle noci tritate.

martedì 25 settembre 2007

cheese!




... e di come avere un blog possa regalare incontri divertenti. La comunanza di una passione si è spiegata a Bra, dove domenica siamo andati, non solo col fido e sempre entusiasta Cri, ma anche con Elisa ed Alejandra con un appuntamento: incontrare Tommy, un nostro lettore e, ormai, amico. Posso definirti così vero? Questo è il bello del blog, il dono di una marmellata di ciliegie fatta in casa, la promessa di un prossimo incontro, magari su un maso o chissà. Certo, anche virtualmente ci si sceglie e piglia in virtù di affinità elettive, è un po' la piazza della vita... ma era lungi da me pensare, quando ho iniziato col blog, che dietro si potessero nascondere così tante invidie e risentimenti.


Bra è stata un'occasione, condita dal caldo sole che ci ha graziati regalando una giornata estiva. E' stato l'entusiasmo di condividere i nostri gusti, la birra del Borgo di Borgorose, Rieti, i cubetti di Cheddar, il migliore a gusto mio la qualità Keen, il Mimolette, formaggio simile a un melone tanto è arancione, riscoprire lo Stilton e venir sorpresi dallo Shropshire, simile ma dal delicato color di zucca dato dall'aggiunta dell'annato, un frutto tropicale. Ricercare il formaggio armeno, per imbattersi invece nel sorriso irlandese della ragazza del Blue Cheese ...e il bagoss, dove sarà, dai, cerchiamolo sulla mappa, ecco laggiù, passando dalla fontina, e... questo ti piace? mmhh.. ma il Pecorino di Farindola abruzzese? è fatto solo dalle donne col caglio suino, e poi il Quejo Serpa, il formaggio erzegovino Sir Hiz Mijaha, il formaggio tibetano degli Yak degustabile solo dietro una piccola offerta. E poi abbiamo dimenticato la casa dei blu e dei suoi erborinati.. che peccato! Abbiamo concluso con una nota nel cuore, grazie ad Elisa. L'incontro con questa donna dai capelli ramati e lo spirito nomade e l'immaginazione del suo andar per erbe nelle montagne trentine, dagli 800 ai 2500 metri, Eleonora di Primitivizia, che mi ha affascinata con un passaverdura, il sale e l'olio, e la bardana, il broccolo di santa massenza, il luppolo, il buonenrico a dar vita a cremine superlative.
La stanchezza ci ha colti imprevista, il saluto a Bra lungo un'autostrada al crepuscolo, i campi di grano divenuti argentei alla luce della luna nascente, la borsa piena di bontà.
Domani ricetta donata dal venditore di Stilton!


giovedì 20 settembre 2007

libro più/con ricetta



Sono di nuovo qui, un po' di straforo e velocemente, ma mi spiaceva così tanto non riuscire a dirvi un ciao in questi giorni! Ma a volte ci sono urgenze ben più complesse...

Pensavo stamattina venendo in qua con la mia wilma, nel traffico e nello smog a quando, a scuola al liceo, le varie prof di letteratura ci facevano fare l'analisi del testo dei vari romanzi che avevamo da studiare. Da Stendhal a Balzac, da Blake a Virginia Wolf, un percorso nei secoli... riprendo ora quei libri e li ritrovo sottolineati di azzurro, blu, rosso, parole cerchiate che si ripetevano e che spiegavano il senso che forse l'autore voleva dare, il ritmo, l'interruzione. E, a ripensarci, respiro ancora adesso quelle fatiche scolastiche, la levataccia alle 6.20 alla mattina, le traduzioni, il profumo dei banchi e la polvere dei gessetti, il grembiule blu con il nome ricamato in rosa o in rosso, il voler stare sempre in ultima fila, nonostante le meno sette diottrie per occhio, i torsoli delle mele lanciate dal fondo dell'aula cercando di fare centro nel cestino per beccare invece solo la preside che nel mentre passava in corridoio... quante tacche lasciate sul quel muro!

E anche Ruth, dopo tre anni di scuola francese era stanca di bambine e uniformi e insegnamenti cattolici... e tra una ricetta e l'altra racconta la sua vita, con spirito, facendo divertire e riflettere, accompagnata e accompagnando il lettore da amici fidati, dalla zia Birdie, da Alice, da Serafina... ma non voglio nemmeno dilungarmi, appunto appunto, a farvi analisi del testo inutili! A me ha divertito questo libro, letto d'un fiato quest'estate, primo di una serie autobiografica della sig.ra Reichl, che non ha sicuramente bisogno di presentazioni, essendo una critica gastronomica tra le più conosciute. Dopo aver scritto per il New York Times e prima per il Los Angeles Times, è adesso direttrice di Gourmet Magazine. La parte più tenera è la sua vita di bambina, della scoperta del cibo, parte rilassante ed essenziale della sua vita. Tenera, appunto.

La torta di lamponi* alla Oléron è una sua ricetta.

per la pasta

180 g di farina setacciata
50 g di zucchero
120 g di burro
2 cucchiai di panna
1 tuorlo

per il ripieno

90 g di mandorle
150 g di zucchero
50 g di burro ammorbidito
3 tuorli
1 cucchiaino di essenza di vaniglia
400 g di lamponi

Mettete la farina e lo zucchero in una terrina, aggiungetevi il burro a pezzetti e mescolatelo strofinado con le dita, finché vi sembrerà una farina da polenta. Amalgamate la panna e il tuorlo, versateli nel composto di farina e mescolate fino ad ottenere una palla di pasta. Lavoratela dolcemente e sistematela in frigo un paio d'ore avvolta nella pellicola. Estraetela dal frigo e sistematela in un piano da lavoro sopra a della carta forno. Spianatela un po' col mattarello e mettetela in una tortiera con diametro 20-22. Mettetela in freezer 10 minuti e fatela poi cuocere in forno caldo a 180° coperta da un foglio di carta forno e fagioli per circa 20 minuti. Estraetela e fate dorare 4-5 minuti ancora senza carta né fagioli. Fate raffreddare.
Mettete le mandorle con 3 cucchiai di zucchero in un mixer, fino a polverizzarle. Amalgamate il burro e lo zucchero rimanente, meno due cucchiai, fino ad ottenere un composto cremoso. Aggiungetevi i tuorli, le mandorle e l'estratto di vaniglia. Stendetelo sul fondo della torta, distribuitevi sopra metà dei lamponi, cospargete con due cucchiai di zucchero e infornate per circa 40 minuti a 180°. fate raffreddare e prima di servire cospargete l'altra metà di lamponi sopra, freschi così.



* lampone, finita stagione? lo so.. ma questa ricetta è di circa un mese fa.. :-) tenetela per la prossima estate!

venerdì 14 settembre 2007

orecchiette con peperoni e capperi



Ma voi lo sapevate che i capperi sono il bocciolo della pianta e non il fiore? E che crescono nelle fessure dei muri a secco e che c'è l'usanza di sparare tipo cerbottana i semi di cappero tra le fessure dei muretti per incentivarne le coltivazioni? Io non lo sapevo, me l'hanno raccontato là. La specie migliore è la varietà "nocellara", piccolissimi capperi che crescono a Pantelleria, e il cui marchio è protetto.
Io... avrò preso troppi capperi quest'estate? E dire che non mi piacciono neanche tanto.. cioè, li mangiavo banalmente solo nella pasta al tonno fino a qualche tempo fa ma, si sa, nel tempo i gusti cambiano. O magari che questi capperi siculi-per-davvero siano particolarmente buoni? In ogni caso, ora li mangio con piacere, mai troppi per carità, il sapore a gusto mio resta un po' forte.
Avevo un peperone in frigo, e la ricotta salata presa sempre al mercato a Catania.. sì lo so, vi sto propinando tanti prodotti della vacanza.. ma che ci posso fare? Mica li posso lasciare là, no?
Questa volta non metto le dosi, credo dipenda molto dal gusto personale.

orecchiette
peperoni
cipolla rossa
qualche cappero al sale
olio extravergine
ricotta salata
basilico

Fate appassire, quasi tostare, lentamente, in un tegame spruzzato d'olio la cipolla rossa tagliata fine, i capperi, precedentemente lavati dal sale, e i peperoni tagliati a cubettini piccolissimi (io li ho usati rossi solo, perchè mi piace il colore :-)). Lasciate cuocere finché i peperoni siano morbidissimi. Condite le orecchiette, e finite con una manciata di basilico tagliato all'ultimo e una grattata di ricotta salata!
Un piccolo suggerimento, forse superfluo: l'ho fatta almeno tre volte questa pasta, una sola con le orecchiette e le altre con la pasta secca. Le orecchiette sono perfette, morbide e assorbono il giusto del sugo. Sarà stato un caso, ma secondo me ci va una pasta fresca.

mercoledì 12 settembre 2007

anch'io ho i miei :-)



Oggi sono malmostosa. Conoscete questa parola? La uso spesso quando sono un filo abbacchiata, senza motivo vero, o semplicemente quando un motivo c'è, ma voglio allontanarne il pensiero. Insomma, ho il susto. Manco susto conoscete? Daaaiii.... susto=termine dialettale, veneto, o forse del mio paese, o magari della mia famiglia? Susto è un misto di insoddisfazione, stanchezza, svogliatezza, voja de far gnente, insomma. Avrei solo il desiderio di starmene con la testa sotto il cuscino, magari prender sonno, attendendo il risveglio che sana tutto.

I biscottini li ho copiati da Camille. Anche Sigrid li ha fatti. E, si sa, a volte la cucina è anche ispirazione! Io avevo preso questo stampino da un po', ne avevo anche regalato uno alla mia amica Elena (li hai mai fatti i biscotti con questo stampino, poi?), e finalmente è giunta la ricetta ad hoc. Son carini, eh?

240 g di farina
120 g di zucchero a velo
50 g di mandorle in polvere
125 g di burro a pezzetti
1 uovo
1 o 2 cucchiaini di acqua, se necessario (io non l'ho usata)

Ho impastato tutto nel mixer, fatta una palla e lasciata riposare qualche ora in frigo. E' sufficiente un'oretta, in verità, io l'ho lasciata mezza giornata, perché mi sono persa a fare altro... Stendetela dolcemente col mattarello, cercando di non scaldarla troppo, a un'altezza di 5 mm e ritagliate i biscotti con lo stampino. Preriscaldate il forno a 180 gradi e cuoceteli non tantissimo, fino a che sono dorati. Se volete, prima di infornarli, spennellateli con un po' di tuorlo d'uovo.

martedì 11 settembre 2007

chioggia e i suoi ricordi




Tornata dalla Sicilia, ci siamo radunate, noi donne della famiglia, per un fine settimana. Le donne della famiglia sono mia mamma e mia sorella. Il nostro fine settimana è un'usanza che facciamo durare da qualche anno. E' un regalo che la Giuly ci fa. Siamo state a Londra, siamo state a Barcellona, e quest'anno la Giuly ha espresso il desiderio di tornare a Sottomarina, sui passi della sua infanzia, della sua gioventù negli anni sessanta, quando andava a ballare la sera e si stava bene, sui passi di giovane donna sposata con le figlie piccole, che-le-vacanze-al-mare-lì-fanno-bene-perché-c'è-tanto-iodio, scandite da lunghe passeggiate fino alla diga. Sottomarina è davvero a due passi da Vicenza e l'idea di un week-end lì non mi rallegrava particolarmente. Sottomarina è un paesino della costa adriatica un po' anonimo, molti alberghi anni sessanta e settanta, un bel lungomare e una bella spiaggia ampia. Ma nulla più.

Ma, proprio a due passi da Sottomarina, attraversato un ponte, c'è Chioggia. Allegra, esuberante, colorata, adagiata tra il mare e la laguna di Venezia, dove il profumo del mare e della pesca si fondono con il battito d'ali dei gabbiani, dove le calle, 74 in tutto, da destra e da sinistra, convogliano, superando rioni e portici, verso la via principale ed, esternamente, verso i canali.
Lì ogni giorno c'è il mercato del pesce, e la cucina povera della campagna circostante (radicchio, cipolla bianca, zucca), si mescola in un tutt'uno saporitissimo dando origine a una tradizione culinaria di tutto rispetto. Dai bìgoli in salsa al saore (sardine ed altri tipi di pesce fritto conservato in un abbondante strato di cipolle bianche appena soffritte e messo in un bagno di aceto), dalla lucerna incovercià (gallinella di mare cotta alla brace con una salsa di olio e aceto) agli scampi alla busara, dalla smegiassa (focaccia a base di miele nero, farina, zucca, uva passa pinoli e zucchero, tipico dolce delle feste natalizie) ai berolini (dolci di farina, melassa e anice con le forme degli oggetti più svariati) ai bossolà (anelli di pan biscotto che si conservava a lungo per le notti dei pescatori in mare)...
Curioso è poi il fatto che gli abitanti discendano da due ceppi di famiglie, i Boscolo e i Tiozzo, e tutti si chiamano Boscolo e Tiozzo, al punto che, per riconoscere le varie famiglie, sono in uso dei "detti" (o soprannomi), necessità vera e propria con valenza anagrafica, che si trasmettono di padre in figlio. Tra i più divertenti i Sìola (cipolla), i Femenela, i Pansìn, i Canarìn...

A Chioggia, una sera, siamo state a cena alla Bella Venezia, un ristorantino semplice, ma davvero ottimo. Segnalato dal Routard 2007, per me sinonimo quasi sempre di garanzia, ci siamo capitate per caso, attratte dal cortiletto raccolto e dalla signora semplicemente elegante nel suo grembiule blu. Abbiamo cenato molto bene. Spaghetti al nero di seppia, tagliatelle con scampi alla busara, cozze marinate, crème brulée vellutata e questa

polentina con scampetti in umido, che vi presento:


1 kg circa di scampetti
250 g di pomodoro
100 g di prezzemolo
150 g di cipolle
15 g di farina
50 g di burro
olio extravergine di oliva
1 cucchiaio di senape
1 spicchio d'aglio (o 2 se piace)
peperoncino piccante
mezzo bicchiere di brandy
un bicchiere scarso di vino bianco

Preparate un soffritto con la cipolla e l'aglio e poco olio; aggiungetevi gli scampetti ben lavati e puliti, e fateli rosolare per qualche minuto. Aggiungete il brandy e fiammeggiate. Tagliate e pelate i pomodori, privandoli dei semi, e aggiungeteli agli scampi, insieme agli altri ingredienti. Togliere gli scampi. Legate il fondo di cottura con poco burro manipolato con farina e salsate gli scampi terminando poi con un pizzico di prezzemolo tritato. Preparate una polenta morbida con farina gialla fine, acqua e sale (le dosi non le so.. vado a occhio di solito), e servitela in un piatto con sopra gli scampetti.

lunedì 10 settembre 2007

spaghetti burrata, datterini e pesto grezzo



Mi perdonate oggi una ricetta al volo? Sono sott'acqua, tante scadenze ancora, alle 12.30 ho un appuntamento col sig. fisco, in una parola non ho tempo. Però non volevo lasciare il blog senza ricetta. Questa è semplice, davvero, ma così buona! Preparate degli spaghetti, fatevi scivolare dolcemente una burrata di buona qualità, tenuta rigorosamente fuori dal frigo, mescolate e adagiateli poi su una brunoise di datterini lasciati macerare con del buon olio extravergine, sale e pepe, e un pesto grezzo di basilico e pinoli. A me è piaciuta tanto!

venerdì 7 settembre 2007

zuppetta di rucola e pistacchi


Mai come oggi sento il bisogno del fine settimana. Per tutti la rentrée dalle vacanze è densa di fatiche.. non più mare e laghi e monti, ma solo l'acqua che gira nell'oblò della lavatrice e le montagne sono solo di panni da stirare. Per di più ci ha accolti il "frec", direbbero qui dalla madunina... Il lavoro riprende a ritmi uguali a prima, solo che noi il ritmo l'abbiamo perso. E andiamo lenti. Io almeno. E poi riprende la corsa alle uscite con gli amici, ci si iscrive di qua, di là, il cinema... il corpo deve riabituarsi a tutto, anche a questo. Insomma, fa bene riprendere, ridà stimolo, ma con calma, no? E quindi, ricetta semi-estiva, o semi-invernale? Un lento passaggio nella stagione. Preferisco il bicchiere mezzo pieno, quindi per me, semi-estiva.
La ricetta originaria, trovata su Grazia, prevede che la zuppetta vada servita fredda, ma siccome adesso fa quasi freschino, io l'ho servita tiepida. Fate voi, secondo il vostro gusto.

200 g di rucola selvatica
700 g di patate a pasta gialla
1 spicchio d'aglio
30 g di pistacchi
1 litro di brodo vegetale
olio e sale

Sbucciate le patate, tagliatele a pezzettini e mettetele a cuocere nel brodo in ebollizione con lo spicchio d'aglio per circa 15 minuti. Aggiungetevi quasi tutta la rucola lavata, tenendone da parte qualche ciuffetto per la decorazione. Fate sobbollire ancora 2 minuti, poi spegnete. Aggiustate di sale e metteteci un goccio d'olio. Fate riposare e poi frullate col mixer fino ad ottenere una crema. Tostate i pistacchi qualche minuto. Servite la zuppetta tiepida decorando con della rucola fresca e i pistacchi.

giovedì 6 settembre 2007

l'Antica Dolceria Bonajuto


...Se viene alla cinque, può parlare direttamente col Sig. Ruta, che le farà vedere il laboratorio. Addirittura!, pensavo tra me e me...

Ma facciamo un passo indietro. Era il 10 agosto quando arrivammo a Modica. Si veniva da Ortigia, la vecchia e bianca, avevamo percorso un pezzo di SS115 (che attraversa tutta la Sicilia!) per poi intrufolarci in una strada minore, in mezzo alla campagna. Quella strada... non un'anima, non un rumore. Forse il cinguettio di qualche uccellino o il passo veloce di un animaletto, ma ero troppo concentrata a guardarmi attorno ammirata: alberi di carrube e olivi e muri a secco a delimitare i confini, colline infinite e paesaggi ininterrotti, ogni tanto una casa silente al confine con la realtà. Il sole! Eravamo nel cuore del mediterraneo, quasi in Africa, in un triangolo barocco di pietre bianche calcaree. Modica ci è apparsa in lontananza, arrampicata in una fitta trama di casupole, mille campanili e altrettante chiese.
Subito l'incontro col ragazzo del b&b ci ha aperto la mente su uno scorcio della storia di Modica, il suo vecchio canale che l'attraversava, ora ricoperto, sul palio imminente, sulla cioccolata. Certo!, Modica è senza dubbio cioccolata. Il suo produttore più conosciuto è Bonajuto, chi non ha mai visto una tavoletta dalla carta rosa cipria o rossa o azzurro polvere con la scritta Bonajuto? Ecco, è lì la patria. E' lì il laboratorio. E' lì il negozio. Che vende una bontà dietro l'altra. Ho chiesto se mi spiegavano come veniva fatta la cioccolata, sono stati gentilissimi. Ecco, se viene alla cinque, il Sig. Ruta le illustrerà tutto. Caspita. Alle cinque circa ero là, in questa viuzza che sbuca nel corso Umberto, all'Antica Dolceria Bonajuto. E là c'era Pierpaolo Ruta, sesta generazione dei Bonajuto, che ha ripreso in mano le redini dell'azienda, per continuare una tradizione.

La Fabbrica Bonajuto esiste dal 1880, fu fondata da Francesco Bonajuto, ha iniziato a raccontare il Sig. Pierpaolo Ruta che, assieme a Francesco Ruta, è titolare dell'azienda Bonajuto. L'allora Contea di Modica era stata sotto il dominio spagnolo essendo governata da Filippo V, sovrano spagnolo, che aveva acquisito il titolo di Conte di Modica. E gli Spagnoli a loro volta avevano preso in prestito dagli Aztechi la lavorazione della cioccolata, partendo dal xocoatl, in origine una bevanda azteca che dava vigore - ma pare altresì che gli aztechi chiamassero anche il seme del cacao in questo modo. Pierpaolo ci ha raccontato del suo viaggio in Africa, vicino al Senegal, dove c'è una grande coltivazione di cacao. E ci ha spiegato come la cioccolata di Modica abbia la caratteristica di arrivare al palato prima con la dolcezza e la granulosità, e solo in un secondo momento, con l'amaro del seme di cacao. La lavorazione primitiva consisteva infatti nel macinare i semi di cacao su una pietra ricurva chiamata metate sotto la quale veniva messa una piccolissima fonte di calore, e da qui la bevanda. Poi gli spagnoli decisero di dolcificarla, aggiungendo lo zucchero e altre spezie.


Bonajuto ha mantenuto questa tecnica antica della lavorazione del cacao non privato del burro di cacao, e della dolcificazione a bassa temperatura, o a freddo (circa 45 gradi), che permette allo zucchero di non sciogliersi, evitando anche il concaggio (termine che deriva dalla forma a conchiglia dei rulli usati durante la lavorazione del cioccolato, i quali amalgamano cacao e zucchero rendendo il cioccolato un prodotto omogeneo e di granulometria molto fine). La pasta che si ottiene viene messa negli stampi, che vengono poi sbattuti per far sì che assuma la forma desiderata.

Insomma, tutto un mondo nuovo, ai miei occhi sconosciuto. Tralasciando il cioccolato, che non ho potuto acquistare altrimenti mi si tramutava in bevanda azteca (!), da Bonajuto fanno anche ottimi cannoli...


... e poi 'mpanatigghi (tipici biscotti di carne e cioccolato), e nucatoli (che vedete nelle foto), biscotti a forma di s, ripieni di cotognata, miele, fichi secchi, mandorle, e poi aranciata e cedrata, torroni, fave di cacao, liquori al cioccolato...


Grazie grazie a Pierpaolo Ruta per la simpatica disponibilità e affabilità, grazie al pasticcere che mi ha permesso di fare le foto, alla super pasticcera che tra una fila di nucatoli e l'altra, riempiva cannoli per i clienti e me ne ha anche regalato uno!

Antica Dolceria Bonajuto
Corso Umberto I, 159
Modica (RG)
tel. 0932 941225

martedì 4 settembre 2007

finocchi, pachino secco e sale rosso


Orsù, stamattina a radio 105 sono impazziti di botto infondendomi un sano piacere nell'alzare (stranamente per me) il volume. Già la mattina s'era aperta frizzantissima e parecchio fresca, il cielo era di quell'azzurro che pare persin pulito e, nel mentre facevo colazione e guardavo giù pensando a come avrei fatto volentieri un giro al mercato, è partito Mozart!! La sonata in la minore, ritmica, allegra, andante, l'ho riconosciuta perché ce l'avevo in una vecchia cassetta di chissà quanto tempo fa, mi ha fatto fare due volteggi verso il bagno accompagnadomi nel lavaggio denti. Eh sì... :-))
In attesa di sistemare altri post e racconti "ciciliani", una ricetta svelta, dal sapore tutto mediterraneo. Insalata fresca, veloce, ma, almeno per me, un po' diversa. I pomodori secchi di Pachino li ho presi al mercato a Catania, e danno un buon contrasto dolce e morbido ai finocchi, che invece hanno quel sapore un po' freddo di anice. Il finocchietto in Sicilia si usa moltissimo sulla pasta con le sarde, sulla pizza, ovunque l'ho visto mettere, e quindi è diventato parte nuova nella mia dispensa. Il sale rosso delle Hawaii ci ha dato un tocco diverso, di colore sicuramente, ma anche di sapore, non fosse altro che per quei granelli croccanti, dal lievissimo retrogusto un po' immaginario di nocciola. Quindi, finocchi tagliati sottili, pomodori Pachino secchi a listarelle, finocchietto selvatico, conditi con del buon olio extravergine di oliva (ho usato Pianogrillo, visto che abbiamo visitato la casa immersa negli uliveti a Chiaramonte Gulfi), un pizzico di sale rosso e il gioco è fatto.

lunedì 3 settembre 2007

innamorata mi sono!



La mia Sicilia in qualche foto e qualche emozione. Da Catania a Catania (vi voglio segnalare il b&b 5 balconi, sosta deliziosa da Cristina e Robert, ci si sente a casa), abbiamo circumnavigato (in auto) quest'isola, che ho scoperto fan-ta-sti-ca! Ogni angolo riservava sorprese, porzioni separate e solitarie di mondi diversi, di incontri curiosi. L'allegria addormentata di Catania ma urlante nel mercato del pesce, la maestosità dell'Etna, mamma imponente e glabra, coi suoi licheni e ginestre, la vecchia Ortigia che innamorava con una passeggiata e un'arancina di Bianca Forno, la cattedrale immensa e dorata di Noto, di nuovo vestita, l'emozione più grande, stagliata sul cielo bluissimo, e Modica e le storie del suo cioccolato più conosciuto, Bonajuto, raccontate da Pierpaolo Ruta, il barocco, Ragusa Ibla che sbucava di sera arrampicata e irta sui monti iblei, e il gelato al tartufo di Ciccio Sultano condito con le piacevoli chiacchiere col maestro, l'olio profumatissimo del dott. Piccione dell'azienda Pianogrillo nella campagna assolata, i tuffi nelle acque cristalline della riserva di Vendicari, la mestizia della Valle dei templi immersa negli ulivi, pacata, immobile dalla notte dei tempi, i panorami mozzafiato a strapiombo di Erice e la piattezza delle bianche saline che diventavano irregolare cruciverba la sera al tramonto. E poi San Vito Lo Capo, la riserva dello Zingaro, il mare intenso e verdissimo, le paste alla norma, la sempreverde Taormina, i cannoli, le arancine superlative, le granite alla mandorla, le mie preferite. E la gente, gentile e sonnolenta, le storie di quelli che dal nord sono arrivati al sud e ci hanno messo radici... e tanti altri racconti che man mano vi racconterò nei prossimi giorni, conditi con qualche ricettina al sapore d'olio d'oliva extravergine profumato al pomodoro!