sabato 29 marzo 2008

crème brûlée al latte di cocco e miele



Chi ha tempo non aspetti tempo. Ho la pizza in forno, sarà pronta tra 10 minutini. La domenica sera pizza, no? Anche voi? Per me è un po' un rito, da quando andavo all'università e con Laura si tornava la domenica sera e non avevamo mai voglia di cucinare. E quindi il rito era un toast, un pezzo di pizza, del caffelatte con la torta della mamma o della nonna. Ma questo non c'entra nulla col post. :-) Parliamo di quello che ho fatto ieri. Latte di cocco, mai preso prima in vita mia. Poi, in onore della festa per la donna, il post in giallo che avrei dovuto fare e che non ho fatto, era prevista nel mio cervellino una ricetta con il cocco e il mango. Passata pure quella. Ma il latte di cocco era rimasto (e pure il mango, devo dire). Poi un giorno con Anna e Stella siamo andate da Kathay, e così ne ho preso un'altra lattina. Serve dire anche che quella gita da Kathay, con annesso pranzo cinese, mi ha stimolato non poco il desiderio di provare a cucinare qualcosa della cucina orientale, araba, dei gusti diversi insomma, complice anche il fatto che Stella mi ha contagiata non poco! Prova certi prodotti mai sentiti, e cucina certe stranezze buonissime! E con tutto questo latte di cocco che avevo in casa, cosa ci potevo fare?

250 ml di panna
150 ml di latte di cocco
2 uova intere
2 tuorli d'uovo
20 g di noce di cocco disidratata (o fresca grattugiata)
1 cucchiaio di miele
50 g di zucchero
zucchero di canna

Sbattete le uova con lo zucchero fino ad ottenere un composto spumoso. Mettete a scaldare la panna, il latte di cocco e il miele in un pentolino, fino al primo cenno di ebollizione. Togliete dal fuoco e versateci il composto spumoso di zucchero e uova. Insaporite col cocco grattugiato. Sistemate in piccoli ramequin e metteteli in una teglia. Versate dell'acqua nella teglia fino a raggiungere circa metà altezza dei ramequin. Mettete in forno caldo a 120° per circa un'ora. Al momento di servire (dopo almeno un paio d'ore), cospargete la superficie della crème brûlée con un cucchiaino di zucchero di canna e bruciatelo al grill o, se l'avete, con la pistola apposita.

.. ah, la pizza è pronta!!

giovedì 27 marzo 2008

marmellata dal "fumo di londra"



Ancora una marmellata, ma in fin dei conti è solo la seconda che faccio... Questa ha il sapore del viaggio a Londra che ho fatto con le mie preferite qualche settimana fa. Tre giorni di grandi passeggiate e lunghe chiacchiere. Londra, con il giallo fiorire dei daffodils, dei narcisi, imbevuta di nebbiolina e primavera.
Tappa obbligatoria quasi, il Borough Market, ma davvero di passaggio. Ho comprato il rabarbaro, che a Milano è raro. Erano le 9 di mattina e quei gambi di rabarbaro fiammanti ci hanno accompagnate tutto il giorno nella borsa di Simona... l'indomani li ho rifilati nello sgabuzzino dell'ostello, al buio, ben conservati.... hanno poi sopportato un viaggio in aereo e, quando son tornata, non potevano resistere molto in frigo. Così una notte di qualche giorno dopo, guardandoli nel frigo ancora croccantelli ma meno freschi di due giorni prima, mi sono impietosita... e lì per lì, l'unica cosa che potevo fare (era mezzanotte passata!!) è stata una bella

marmellata di rabarbaro e lime

400 g di rabarbaro (tre bei gambi)
120 g di zucchero
il succo di un lime
la buccia di due lime

Per il procedimento, ho fatto esattamente come per la marmellata di ananas. Tagliate il rabarbaro ben lavato a pezzettini e portatelo a ebollizione con lo zucchero in una pentola, schiumando un po'. Spremeteci il succo e aggiungetevi la buccia di un lime e mezzo (io non l'ho grattugiata, ma tagliata a listarelle sottili, zest, così si sentono in bocca quando si mangia).Volendo potete aggiungere un po' di zucchero, il rabarbaro è asprigno e un po' di zucchero in più ci può stare. Verso la fine di cottura, aggiungeteci la restante parte della buccia del lime, che rimane così più verde e croccante. Terminate la cottura. Versate la marmellata ancora calda nei vasetti puliti e lavati, riempiendoli bene, chiudete e girateli sottosopra tutta la notte. E' davvero ottima, questo esperimento del lime con il rabarbaro mi ha soddisfatta proprio.

martedì 25 marzo 2008

ma guarda che si son inventati...

Vabbé vabbé, questo post è lì pronto (o quasi) da Natale. Ma siamo a primavera e anche Pasqua se n'è passata. Ma poi, non è un qualcosa, questa torta, che trova il suo tempo a Natale, almeno a parer mio. Torno quindi a parlare della mia terra d'origine, perché i Veneti alla terra ci sono molto attaccati. Terra come campagna, terra come radice profonda dalla quale slegarsi diventa esilio, terra come identificazione di un popolo, terra come cibo povero, terra impareggiabile, come diceva Quasimodo.
Ho sempre pensato che i Veneti avessero una marcia in più. Ma non perché sia di parte. Io i Veneti li guardo spesso con sana circospezione e critica. Sono grandi lavoratori, grandi imprenditori, molti venuti dalla terra, dalle fiere origini contadine, sono imprenditori con la canottiera, almeno quelli di un tempo. E nel mio sguardo migliore che riservo loro, sono dei fantasisti, dei piccoli geni.
A Natale mi è stata donata questa torta. Le vedete quelle zampette lì? Quelle del gato? Ma voi la conoscete la filastrocca che dice vicentini magnagati (padovani gran dotori, veneziani gran signori, veronesi tuti mati), no? Leggo in un Giornale di Vicenza di qualche anno fa che i vicentini parrebbero essersi guadagnati l'appellativo di magnagati nel 1698, quando una grande invasione di topi aveva terrorizzato la città e, malgrado vari tentativi di combatterli, la situazione era così grave che Venezia dovette intervenire inviando un esercito di gatti! C'è un'altra ipotesi sulla provenienza del termine magnagati, teoria di origine fonetica, che trova fondamento nelle parlate locali: per dire "hai mangiato?" si può dire a seconda che si sia nell'antica Venezia o nel dialetto padovano o vicentino "ti ga magnà?", "gheto magnà", "gatu magnà?".
E te pareva che non si inventassero un dolce che identificasse a pieno la loro già forte identità? Molto campanilisti, pochi mesi fa, i pasticceri dell'Associazione Artigiani si sono riuniti per inventare La Gata, un dolce, una tortina secca, con un punto fermo: la ricetta contiene solo prodotti naturali, alcuni tipicamente del territorio, come la grappa e la farina di mais. la confezione è divertente, contornata da immagini dei migliori monumenti di Vicenza e dentro... questo simpatico stampino per lo zucchero a velo... attenti, xè pasà la gata! E questa volta la potete pure mangiare!

mercoledì 12 marzo 2008

super pon pon



Questi biscottini mi hanno fatto fare una riflessione su di me. Li vedete come sono carini, nella loro forma tondeggiante, delle piccole dalie, dove si percepisce appena la screpolatura dei petali, dei batuffoletti. A me ricordano molto quei fiori bianchi che sembrano dei pon pon, forse si chiamano proprio dalie pon pon, ma non me ne intendo molto a dire il vero. :-) A me quei fiori son sempre piaciuti, ma mai avrei pensato di fare, di mio, dei biscotti così.. come dire, vezzosi, leziosi. E invece, eccoli qua. La riflessione su di me è che son un po' simmetrica nelle mie cose. Mi piace la geometria, la simmetria, mi dà il senso dell'ordine. Se appendo dei quadri, mai li metterei in ordine sparso... se sistemo le sedie attorno al tavolo, devono guardarsi precise, l'una di fronte all'altra. Sono piccole manie, certo, ma quando entro in libreria e vedo le pile di libri tutte sconclusionate... mi trattengo parecchio dal metterli in riga tutti! :-)) Invece la Silikomart, questa azienda che produce stampi alimentari in silicone, mi ha proposto una collaborazione chiedendomi di preparare delle ricette coi loro stampini. Ho trovato l'idea carina, io quelli stampi li usavo già (invero a casa ne avevo uno per i biscotti, rettangolari però!!) e sono dei prodotti molto buoni. E così mi son ritrovata a fare queste piccole dalie... trovo che queste forme diano simpatia.

175 g di burro a temperatura ambiente
40 g di zucchero a velo
1 cucchiaino di vaniglia
120 g di farina bianca
40 g di farina gialla finissima

Mescolate bene il burro con lo zucchero a velo e la vaniglia fino ad ottenere un composto cremoso. Aggiungetevi la farina bianca setacciata e quella gialla. La ricetta prevede poi che il composto venga messo nel sac-à-poche, che gli venga data la forma che si vuole e che si cuocia in forno a 180° per circa 20 minuti. Io ci avevo provato un po' di tempo fa, ma il risultato è stato che in forno si era sciolto tutto e avevo ottenuto dei biscotti informi e piatti... magari avevo sbagliato qualcosa io. Questa volta, invece, forte del mio stampino nuovo, ho ben pensato di mettere il composto negli stampi in silicone e devo dire che il risultato è stato soddisfacente davvero!! In fondo anche Sigrid lo dice quando fa i suoi sablés aux olives...

lunedì 10 marzo 2008

fregola al verde, dopo un bel we



No, ma scusatemi, io non riesco a starci dietro. Potrei inventare mille scuse, ma il blog va curato, e l'unica motivazione che ho io per non starci dietro è che mi manca il tempo. Ora, che si fa? Ne ho pensate molte, ma alla fine non lo voglio mica mollare il mio spazio virtuale di piccole invenzioni ed esperimenti. Non ho nemmeno l'ansia di non postare, sia chiaro, solo che mi spiace non seguirlo a dovere. Non voglio nemmeno tediare nessuno con le mie frenesie lavorative (la mia giornata inizia spesso alle 9 e finisce alle 21), e leggevo giustappunto ieri sul Corriere che l'ansia a Milano è una malattia, che non c'è stacco, che quel "tutto gira intorno a te" spesso mi rappresenta in pieno... ma sono indietro col meme dei segreti, con tanti post, col cucinare proprio, e non son riuscita a mettere la ricetta in giallo, nonostante avessi preso un mango (che magari starà diventando molle nel cassetto del frigo) e un barattolo di latte di cocco. Io, ve lo giuro, lo stacco lo darei volentieri, molto! Non son fatta per tutto 'sto casino, o forse in parte (ma solo in parte) sì. Per staccare son dovuta (povera me :-)) andare a Londra tre giorni. Almeno mentalmente ho staccato. Un mondo bello, Londra, un mondo della mia gioventù. Un mondo che dentro all'ostello, visto con gli occhi di quei diciottenni che forse mi guardavano come dire "che ci fa quella lì a quell'età che ha, in ostello" (perché anch'io dicevo così, alla loro età), appariva ancora molto roseo e scanzonato. Una swinging London, dove a Carnaby Street non c'è più nemmeno l'ombra di una dr. martens o di qualche altra "metallareria", ma dove, in fondo,tutto è rimasto quasi immutato nel tempo, nonostante Londra mi sembri una delle città più evolute sotto tanti punti di vista.
La ricetta c'entra poco, l'avevo fatta qualche settimana fa. Ma oggi è grigio, e son così stanca che potrei addormentarmi sulla scrivania... e quindi una zuppa ci può pure stare no? E' solo sana!

Trattasi di una preparazione facilissima, non vi indico quantità, ognuno si regoli secondo il gusto. Io qui avevo usato la fregola (già l'avevo proposta una ricetta), il cavolo nero, le cime di rapa, il sedano, dei piselli, la cipolla, uno spicchio d'aglio, dell'olio buono, del pepe, un pizzico di noce moscata, un pizzico di curcuma, del peperoncino. Fate imbiondire la cipolla e uno spicchio d'aglio. Aggiungete l'acqua, le verdure e la fregola, un po' di sale grosso e le spezie. Cuocete per circa 15 minuti. Un giro di pepe e d'olio e c'est tout.