martedì 27 gennaio 2009

cucina vicentina parte seconda: i bigoli con l'arna

Arna lessa e bigolo tondo, a la sera i contenta el mondo.



E' mesi, dico mesi, che vorrei mettere questo post. Parecchio tempo fa ci siamo ritrovati tutti noi, cugini e zii, nella taverna dello zio Mario, maestro nel fare i bigoli col torcio di una volta. Ma nonostante tante foto del torchio, dei bigoli, dei maccheroncini, della farina Molino Manni, con la foto stampata sopra di San Bastian, la chiesetta che domina il mio paesello, non avevo una foto dei bigoli pronti e conditi! E così ho atteso tempi migliori. Domenica è arrivato di nuovo il tempo dei bigoli con l'arna, a casa della Giuli. L'occasione era ghiotta per combinare insieme due momenti di vicentinità, e servirvela, come si suol dire, su un piatto d'argento... ma, come tutte le cose che si trascinano, ieri sera non son riuscita più a trovare quelle foto dello zio Mario. Perché nel frattempo ho cambiato pc e quell'altro è rannicchiato sotto una pila di cose da stirare dentro l'armadio, sofferente nel volersi accendere, e i cd con le foto da me salvate non contengono le foto dei bigoli fatti dallo zio Mario...
Comunque, i bigoli con l'arna sono la cosa più vicentina, insieme al baccalà, alla quale io possa pensare. Di una bontà infinità, unti e saporiti con quel retrogusto di salvia. Non c'è un ristorante a Vicenza e dintorni che non serva questo piatto. I bigoli, per chi non lo sapesse, sono una specie di spaghetti grossi non bucati, fatti in casa, con semola e uova lavorati duri e poi trafilati con un torchio di bronzo, come quello dello zio Mario. Ci si siede sopra, e si gira, gira, finché non esce questa pasta meravigliosa.
La ricetta tradizionale prevedeva che i bigoli fossero cotti nel brodo stesso in cui si lessava l'anatra (novella, nata 60-90 giorni prima) e che poi si condissero con un sugo fatto di burro aromatizzato di salvia e le frattaglie della medesima anatra. Adesso forse non si fa più così, almeno, mia mamma non l'ho mai vista cuocere i bigoli nel sugo d'anatra!

per 4 persone

un'anatra piccola
400 g di bigoli fatti in casa
80 g burro
un bel mazzetto di salvia
una costa di sedano
una bella carota
una cipolla bianca
aglio
alloro
prezzemolo

L'anatra potete prenderla già eviscerata e pulita. In caso aveste un contadino che ve ne regala una (che sarebbe molto meglio) procedete a spennare l'anatra, liberarla dalle interiora, pulirne il fegatino e lo stomaco, conservando le altre frattaglie, poi bruciacchiandola sul fuoco, così tutte le eventuali piumette se ne andranno (un po' di odore in casa sì... ma poi passa!). Mettete sul fuoco una pentola con abbondante acqua salata e aggiungete la carota, la cipolla, il sedano, qualche rametto di prezzemolo, l'alloro e lo spicchio d'aglio. Appena inizierà a bollire l'acqua, tuffateci l'anatra con il cuore, il fegato e il ventriglio (parte dello stomaco). Fate cuocere a coperchio semiaperto per circa un'ora, poi scolate e spellate l'anatra. Tritate finemente le frattaglie, tranne il fegato (o, se vi piace, anche il fegato), disossate l'anatra e mettete il trito di frattaglie e carne a rosolare in un po' di burro con un bel po' di foglie di salvia. Salate e pepate. Cuocete i bigoli in acqua salata e conditeli poi con questo sughetto. Una spolverata di parmigiano, se gradite, e via!

domenica 18 gennaio 2009

dopo i croissant, le brioche



Le brioche che vedete qui sono diverse da quelle fatte l'altra volta, che erano dei croissant al burro, tipo quelli francesi per intenderci. Queste sono, come dire, più briosciose, la pasta dentro è meno sfogliata, ma altrettanto saporite. Non sono troppo dolci, e vanno benissimo per colazione. La ricetta è sempre presa da un libro di Christophe Felder ma, siccome l'avevo fatta altre volte, senza mai ottenere il risultato della foto, vi metto anche la mia modifica, che è stata una piccola aggiunta di farina. Le altre volte non era mai lievitata bene come questa volta. Non so se sia stato merito di questa farina in più, ma di fatto io mi son trovata meglio così. Ah, piccola annotazione... mi è scappato il secondo compleanno di Adina!!!! Facciamo che lo festeggiamo con queste brioche, ben riuscite? :-) 

250 g di farina (più altri 30 circa)
30 g di zucchero
1 cucchiaino di sale
10 g di lievito fresco
3 uova 
2 cucchiai di latte
165 g di burro a temperatura ambiente
granelli di zucchero, se volete

Mettete la farina, lo zucchero, il sale e il lievito nell'impastatrice (o in una ciotola, se fate a mano), avendo cura che il lievito non tocchi né il sale né lo zucchero. Aggiungere le uova e il latte. Impastate 2-3 minuti. Incorporate il burro morbido e impastate di nuovo per altri 5-10 minuti, fino ad ottenere un impasto elastico che si stacchi dalle pareti della ciotola. Lasciate riposare circa un'ora in luogo senza correnti d'aria coperto da un panno umido. Quando è raddoppiata di volume, lavoratela e formate un biscione che metterete in frigo per due ore. Si indurirà. Procedete poi a fare le brioche, appiattendo un po' la pasta, facendo i triangoli e arrotolandoli, come qui. Oppure fateci dei quadratini, o delle brioche col tuppo sopra, tipo quelle siciliane. Dopo che avrete dato la forma desiderata, lasciate lievitare ancora due ore, poi spennellateli di un mix di uova e un goccetto d'acqua (volendo dei granelli di zucchero), e infornate a forno preriscaldato a 180° per circa 10-15 minuti, a seconda della grandezza che avrete dato alle brioche.

giovedì 15 gennaio 2009

cucina vicentina parte prima: ravi al lardo



E questa volta una ricetta vicentina. Di una volta, credo. Molto di una volta. Non ricordo che né la mia nonna, né la mia mamma, mi abbiano mai fatto né le ravisse, né i ravi. Mi insegna il mio libro di cucina vicentina (La cucina vicentina, Amedeo Sandri e Maurizio Falloppi) che le ravisse sono le foglie delle rape (dette ravi in veneto), e che sono molto più raffinate delle rape, e che andrebbero consumate alla prima gelata di novembre. Bollite e poi cotte a lungo, fino ad asciugatura. Io non ho trovato le ravisse, ma i ravi sì. E così ho fatto la ricetta meno delicata... Col lardo, "che una volta il burro e l'olio venivano usati molto di meno...ma era lardo buono", dice mia mamma! Che poi è strano davvero come in Veneto (o forse a casa mia?) si parli sempre di "verdura cota"... qualsiasi cosa che abbia un colore verde e che assomigli ad un'erba, è verdura cota, sempre con una T sola. Possono essere erbette, pisacan (tarassaco), spinaci, biete, ravisse, sempre verdura cota è! :-) Questo piatto sapeva di una volta, sapeva di veneto, profumava di maiale, di casereccio, di una tavola di legno, di camino, di famiglia.

1 kg di rape
100 gr di lardo (di buona qualità, ascoltate la Giuli!)
1 cipolla
1 spicchio d'aglio
brodo di carne
sale e pepe

Scaldate la lama di un coltello e battete il lardo riducendolo in poltiglia. Mettetelo in un tegame e aggiungetevi la cipolla e lo spicchio d'aglio a fettine. Fate appassire, unendovi le rape tagliate a fette fini con le loro fogliette. Aggiungete mezzo mestolo di brodo e lasciate cuocere circa trenta minuti. Salate e pepate. Servite con dei crostoni di pane.

lunedì 12 gennaio 2009

una breve vacanza



Non posso iniziare questo post senza pensare a loro, e a quel quiproquo che ci ha permesso un po' di viverli diversamente. Tutto iniziò l'estate scorsa, un link tra i tanti, la scoperta di una chambre d'hôtes nella regione del Languedoc-Roussillon, vicino alla Provenza, un innamoramento istantaneo. Prenotai per il 3 e il 4 gennaio, ma Isa mi scrisse che solo il 2 e il 3 saremmo potuti andare. Il 4 gennaio avrebbero chiuso. Io non mi sono accorta di quel cambio di date, sono andata dritta con le mie convinzioni e il 3 mi son presentata, disincantata, alla Maison Felisa. On vous attendait hier... Hier?!? Oui, hier ...ah! Ah, sacra storditezza pura e infinita! Che rare volte mi colpisce (forse), ma talvolta accade. Gentili, ci hanno permesso di stare lo stesso il 4 notte, in una dimensione profonda e accogliente, fatta anche di qualche chiacchiera e confidenza. Gentilissimi, direi. Ci siamo sentiti a CA-SA. Io non cerco mai, quando viaggio, il lusso, il gran servizio. Non mi appartiene. Ma sentirmi a casa, anche lontano da casa, è un segno di grande meraviglia. Dello spirito. Significa per me stare bene, muovermi spontaneamente, non come un elefante tra le uova. A casa, in un ambiente che mi si offre trasparente, pronto a farsi conoscere.

La loro è una storia come se ne sentono tante, di quelle storie che vorremmo fossero un po' le nostre storie, velatamente sognate. Isa e Philippe hanno aperto questa Maison Felisa, contrazione dei loro nomi a prolungarsi in Feliz, nel 2003. Facevano altro nella vita, in Svizzera, ma il loro era un sogno vero. Maestri nelle loro passioni, lui i massaggi e il benessere, lei la cucina. Tutti i giorni Philippe addolcisce il soggiorno dei suoi ospiti con le sue mani. Il venerdì e il sabato Isa prepara la cena per i suoi ospiti, con i suoi ospiti, davanti ai suoi ospiti, in una cucina armonica, senza soluzione di continuità, aperta e sorridente. E gli ospiti diventano in qualche modo amici, con un sorriso, una luce, un bicchiere di bollicine come apéritif. E che brava che è, Isa! Prepara e agghinda piatti come in un vero ristorante. Piccole porzioni, pronte ad accogliere un bis portato direttamente da lei, pentola in mano. Una cucina lieve, oggigiorno si definirebbe fusion, ma che è più semplicemente un sincretismo di sapori imparati in tanti viaggi, intrecciati di spezie, di tradizione e di novità. Spume di tartufi, ravioli con pasta wonton e profumo di citronelle (mi sfugge il nome in italiano.. ce l'ho pure in frigo... come si chiama??), ananas allo zafferano, splendide ganache al cioccolato, formaggio con miele e nocciole, ricette che non teme di raccontare. Tiene anche corsi di cucina, lì, nella sua cucina, ai quali non ho potuto partecipare, per il disguido delle date di cui sopra! Ma vi proporrò una sua ricetta presto, che mi ha generosamente spiegato e che mi era particolarmente piaciuta.

Tutto il resto sono foto scattate qua e là, tra Avignone e Uzès, Nîmes e Aix-en-Provence. Douce France!




Queste ultime foto sono tratte dal sito di Maison Felisa. Lei è Isa, bellissima, lui Philippe. E chi, sennò?

martedì 6 gennaio 2009

crema di castagne e mele, e tanta neve!!!

Inverno, legna, pianoforte e il tram giallo e crema numero 1 che passa sotto casa (V. Capossela)


Wow, wow, wow!!! Milano sommersa dalla neve! Sommersa forse no, a Milano anche se ci sono venti centimetri di neve non si vedono come in campagna o in montagna, ma questa mattina quando ho aperto le finestre era davvero tutto magico! I tetti, le strade, il mio balcone... tutto candido! Io che sogno sempre che torni una nevicata come quella dell'ottantacinque, ho infilato scarponcini e sciarpa e sono scappata per le strade di questa mia Milano, semivuota, quatta quatta, soave e pacifica. Lo vedete quel tram là sotto?? E' un rifacimento della vettura a carrelli 1500 rifatta l'anno scorso dai lontani anni Venti per la linea 1 e abbigliata come allora, di giallo e crema e di nessuna pubblicità!  Mi piace Milano, a volte di più. Oggi di più. Con quel tram giallo e crema, che ogni tanto si burla di noi, transitando sulla linea 9... Di ritorno, invece, una crema calda, con quel che il frigo offriva, ma offriva un bel po' di cose buone, che messe assieme hanno dato soddisfazione. 

per circa 4 persone

200 g di castagne precotte (lessate)
1 mela 
1 porro
1 carota piccola
2 foglie di alloro
1 rametto di rosmarino
2 foglie di salvia
olio extravergine
4 fettine di bacon
sale alla vaniglia (un tocco che ci stava bene!)

Mettete in una pentola due cucchiai d'olio extravergine e fateci poi rosolare qualche minuto la carota a pezzettini e il porro. Aggiungetevi poi le castagne (tranne qualcuna) e mezza mela. Coprite d'acqua, a livello con le verdure, e insaporite con le erbe (alloro, rosmarino e salvia). Dopo circa dieci minuti di cottura, togliete le erbe e passate al mixer fino ad ottenere una crema. Aggiustate di sale e di pepe. Fate poi abbrustolire le fettine di bacon in una pentola antiaderente, senza aggiungere grassi, finché il bacon diventa croccante, e tagliate a bastoncini la mezza mela rimasta. Guarnite i piatti con la crema, la fettina di bacon, dei bastoncini di mela fresca e qualche pezzettino di castagna qua e là. Poi io ci ho messo un pizzico di sale alla vaniglia (Halen Môn), visto che l'avevo preso, fra i tanti sali che mi ritrovo... e devo dire che ci stava proprio bene. :-)

**aggiornamento delle 22.50: giustappunto che i tram si burlano di noi... ennesimo scontro fra tram a Milano stasera, causa neve! Ma si può?


martedì 23 dicembre 2008

datteri con pesce spada affumicato



I datteri son semplicemente un classico delle nostre feste. Li ho voluti riproporre in questa veste, per me insolita, dopo averli assaggiati qua, con il sig. Medagliani che mi raccontava che chi coltiva i datteri non mangia datteri, visto che ci mettono tanti anni a crescere, più della vita di un uomo.
E mi son sembrati, con quest'aura di poesia, magnifici, i datteri. Io, che una volta non li mangiavo, adesso trovo che stiano benissimo in compagnia di un sacco di alimenti, dal formaggio caprino a un roquefort, dal foie gras alla pancetta, fino ad arrivare al pesce spada, o a qualche verdura, tipo l'indivia.
Questi sono semplicissimi da realizzare, ma di grande impatto per le papille gustative! Prendete dei datteri freschi, privateli del nocciolo e tagliateli in due, ma non completamente. Tagliate il pesce spada affumicato a dadini, e riempite i datteri con questa tartare. Se vi piace, legateli con dell'erba cipollina, ma in ogni caso sono ottimi se serviti con un po' di panna acida, una spruzzata di sale, pepe ed erba cipollina.
Un augurio speciale a tutti voi, per il nuovo anno che verrà. E anche di un buonissimo Natale!

mercoledì 10 dicembre 2008

stollen alsaziano



Era dall'anno scorso che volevo provare a farlo. Non so come sia iniziata, ma lo scorso Natale la nostra casa era piena di stollen freschi di forno! Dolce tipico delle feste tedesche, cui Dresda dedica persino un festival. La ricetta da me qui raccontata riprende invece una variante dello stollen tedesco, quella alsaziana, che però ha dei vicini germanici tutta la tradizione. Questo è meno ricco di burro e, a mio parere, risulta un filo secco. Va bene pucciato nel latte. Prossima volta provo una ricetta bavarese. Anzi, se qualcuno la sapesse, sarei felice di provare! Ho omesso anche tutti i vari canditi - che non sempre piacciono, sostituendoli con scorze d'arancia e limone. La casa profumava di agrumi alla fine!
Nel frattempo vi comunico che ho preso un nuovo pc e che forse, tra qualche tempo, una volta installati i dovuti programmi, tornerò un po' operativa anche qui! :-)

per il lievitino
50 cl latte intero
60 g farina
10 g lievito fresco

per la pasta
12 cl latte intero
5 g sale
80 g zucchero
10 g lievito fresco
1 uovo
100 g burro morbido
380 g farina
scorza di 1/4 di limone biologico
scorza di 1/4 di arancia biologica
2 cucchiaini di cannella

per il ripieno
80 g di mandorle
40 g di nocciole
80 g di uvetta
80 g di canditi limone e arancia (facoltativi)
1 cucchiaino di cannella
2 cucchiaini di rum
per finire, zucchero a velo (facoltativo)

Tritate grossolanamente gli ingredienti del ripieno e bagnateli con il rum. Fate macerare. Nel frattempo preparate il lievitino in una ciotola mescolando bene il latte, il lievito e la farina. Poi coprite con 380 g di farina e lasciate riposare senza coprire in un luogo caldo per circa 45 minuti.
Alla fine del tempo di riposo, la farina avrà delle crepe e si sarà un po' affossata: significa che il lievitino ha fatto il suo lavoro.
Versate la farina e il lievitino in un'impastatrice e aggiungete gli altri ingredienti: il sale, l'uovo, lo zucchero, il latte, il burro, il lievito, la scorza dell'aranzia e del limone. Potete lavorare anche a mano (io ho fatto così) per circa 4 minuti. la pasta deve risultare elastica. Rimettete a riposare per circa un'ora, coperta con un telo. Disporre la pasta sul piano di lavoro, e col mattarello stendetela a formare un quadrato di circa 25 cm per lato. Disponete al centro la frutta secca macerata nel rum, lavorate la pasta un po' sempre mantenendo il quadrato. Piegate la pasta su se stessa e, volendo potete a questo punto, tagliarla in due e ricavarne 2 stollen. Fate riposare ancora sotto un telo per un'altra ora.
Da ultimo, fate cuocere in forno caldo a 170° per circa 40 minuti. Se gradite, quando è quasi cotto, spennellate la superficie con del burro fuso. Io ho omesso questo passaggio, e ho semplicemente spolverizzato con dello zucchero a velo.

mercoledì 26 novembre 2008

ravioli di farina di castagne con pancetta, ricotta e mirtilli

L'aria di primo mattino profuma come un'idea.



Ecco un piatto non difficile e di gran sapore. Potrebbe essere una valida alternativa ai ravioli delle feste. La farina di castagne non l'avevo mai lavorata, il castagnaccio non mi fa impazzire, e quindi non l'avevo mai presa. Poi le mie amiche preferite me l'hanno regalata per il mio compleanno, insieme ad altre leccornie fantastiche, e così ho cercato un modo diverso di impiegarla. Il ripieno ha questi mirtilli che lo rendono particolare, ma non sono invasivi per nulla, come leggerete ne ho messi davvero pochi.

per la sfoglia
150 g di farina di castagne
75 g di farina bianca
2 uova medie
sale

per il ripieno
80 g di ricotta fresca
30 g di grana padano grattugiato
1 etto di pancetta (mezza coppata, mezza normale)
sale
pepe
8 mirtilli (anche congelati)

per condire
rosmarino
burro

Impastate la sfoglia dei ravioli, con le farine, le uova e il sale, lavoratela bene e lasciatela riposare mezz'ora. Nel frattempo frullate la pancetta fine e lavoratela con la ricotta e il grana padano. Aggiustate di sale e pepe e, da ultimo, aggiungeteci i mirtilli, che dovranno mescolarsi sì, senza rompersi del tutto. Fate riposare in frigo questo impasto. Stendete poi la sfoglia col mattarello (a gusto mio non sottilissima), fate delle palline con il composto del ripieno e confezionate i ravioli, come piacciono a voi. Bolliteli circa 7-8 minuti, e conditeli con del burro fuso aromatizzato con del rosmarino e, per abbellire, disponete qualche mirtillo qua e là. Io non ci metterei altro condimento, ma fate a vostro piacimento. Vengono circa 50 ravioli con queste dosi.

mercoledì 19 novembre 2008

e fu così che ci provò pure adina



Immersa in tutto questo gran can can di macarons che c'è stato un tempo sul mondo blog, a seguire il nuovo libro di Mercotte, e questi piccoli bottoncini che ogni tanto occhieggiano sul web, Adina poteva non cadere in tentazione? Era da un po' che ci volevo provare, in verità, poi la scorsa settimana in una conversazione con la mia amica Elena che mi chiedeva consigli per un dolce da dedicare in una serata di compleanno, l'illuminazione: perché non provi a fare i macarons? Potresti sorprendere tutti! E fu così che le ho tradotto dal francese un paio di ricette, una proprio di Mercotte, l'altra di Marina. Non so più se li abbia fatti, Elena, i macarons... ma in compenso ci ho provato anch'io. Dopo un primo tentativo quasi fallito, a causa del fatto che non avevo una bocchetta giusta per il sac-à-poche - mi sono venuti un po' bislacchi e grandicelli, mi sono attrezzata e ci ho riprovato. Il risultato è quello che vedete. Non ne è uscito solo uno bellino, eh! :-) Ce n'erano parecchi. Non avevo coloranti alimentari per abbellirli, e questi che ho fatto sono davvero semplici nel loro sapore. Ma credo ci riproverò, in fondo non mi sembrano molto difficili.
Ho incontrato solo un problema: entrambe le volte, ho provato a spolverizzare parte dei macarons con dei pistacchi tritati fini, la prima volta, e del cacao, la seconda. Ma quelli spolverizzati si son crepati sopra. Mentre gli altri sono rimasti sempre lucidi e precisi. Suggerimenti?

Ho capito che l'impasto base dei macarons si può fare in due modi:
1) a metà con meringa italiana e metà con gli albumi non montati;
2) senza meringa italiana, montando semplicemente gli albumi a neve.
Ho seguito la seconda versione, per praticità, ma vorrei provare anche l'altra. La ricetta ve la traduco, così l'avete in italiano se volete provare.

per i gusci
3 albumi (90 g)
210 g zucchero a velo
125 g farina di mandorle
40 g zucchero

per la ganache
120 g cioccolato fondente di buona qualità
30 g di panna fresca
8 nocciole

Serve seguire degli accorgimenti necessari e importanti:
uova: gli albumi devono essere stati separati dai tuorli un paio di giorni prima e vanno conservati in un tupperware in frigo. Con i tuorli rimasti potrete fare una frolla, come qui.
zucchero a velo e farina di mandorle: vanno mescolati per bene e passati obbligatoriamente al setaccio, per eliminare impurità e briciole più grossolane.
macaronnage: termine che si impiega per mescolare bene gli albumi montati a neve con il mix di farina di mandorle e zucchero a velo
crôutage: tempo per il riposo dei macaron prima di infornarli
forno: ventilato.
teglie: munirsi di 2-3 teglie da sovrapporre una sull'altra, importante per la riuscita della collerette sui gusci e per evitare che cuociano troppo sotto, seccandosi.
(per un maggiore approfondimento vi rimando ai due blog segnalati, che sono perfetti)

Partiamo. Dopo che son stati due giorni in frigo separati dai tuorli, tirate fuori gli albumi qualche ora prima di iniziare, così da lavorarli a temperatura ambiente (la temperatura influisce solo sulla velocità di montaggio, non sulla riuscita). Con un mixer mescolate bene lo zucchero a velo e la farina di mandorle e procedete poi a setacciarli lasciandoli cadere su un vassoio largo. Montate a neve gli albumi, aggiungendovi un cucchiaio di zucchero dopo poco e il resto dello zucchero a metà montaggio. Gli albumi saranno pronti quando faranno il bec d'oiseau, si dice in francese, cioè delle geometrie tipo becco di uccello. In caso il montaggio non riuscisse, abbiate l'accorgimento di aggiungerci un pizzico di sale o una goccia di limone. Trasferite gli albumi montati in una ciotola e man mano versateci il mix farina di mandorle-zucchero a velo, lavorando il tutto per qualche minuto con una spatola in silicone, facendo dei movimenti dai bordi al centro, senza rompere troppo gli albumi, e avendo cura di mescolare bene gli ingredienti (macaronnage). In questa fase potete aggiungere una punta di colorante alimentare, di matcha, di zafferano, di cacao... così diventano colorati). Munitevi ora di un sac-à-poche con una bocchettina tonda di circa 1 cm di diametro. Preparate le due teglie che andrete a sormontare una sull'altra, e rivestitele con la carta forno. Per farla stare attaccata, incollate gli angoli della carta forno alla teglia con una punta di impasto dei macarons. Accendete il forno a 150°. Versate il composto nella sac-à-poche e poi spremetelo sulla teglia ad ottenere dei cerchietti regolari di impasto disposti a intervalli simmetrici e non troppo vicini l'uno all'altro (potete anche disegnare prima i cerchi sulla carta forno, così da farli tutti uguali). Fate adesso riposare una mezz'oretta. Qui c'è chi fa riposare anche una notte, e chi omette totalmente il crôutage. Serve per far gonfiare di più il macaron. Io mi son trovata bene con circa 30 minuti di riposo. Infornate per 13 minuti. Tirate fuori e lasciate raffreddare un attimo, prima di staccare i gusci. Si staccheranno facilmente, se così non fosse provate a cuocere un minuto ancora oppure a mettere direttamente il foglio di carta forno con sopra i macarons (incollati) su un piano freddo.
Per il ripieno: fate fondere a bagnomaria il cioccolato e la panna. Aggiungetevi le nocciole tritate e tostate (se volete, sennò sarà una ganache al cioccolato). Lasciate intiepidire. Raffreddando totalmente, la ganache diventa un po' solida, per cui ho preferito metterla dentro ai macarons quando era quasi fredda, ma non totalmente, così da riuscire a schiacciarla bene tra i due gusci.

domenica 26 ottobre 2008

mousse di pere e cioccolato



L'insieme cioccolato e pere è un classico di sempre. Forse perché son fin troppo classica io :-) in cucina rifuggo un po' da questi accoppiamenti. Ma la mia amica Mafi, che invece è conservatrice sotto certi aspetti, non ama troppo i cibi strani. E domani siamo a cena da lei, quattro amiche di sempre che si prenderanno in giro, come sempre, e chiederanno il conto alla Monica, arredatrice d'interni (e mi scappa da ridere, e lei sa perché) che ci vende i mobili, e lei non ce lo vorrà dare ma alla fine ci darà, solo che chissà quando, e l'Ilaria neomamma con la pupa a casa, che lei chiama la berta, che finalmente verrà a casa della Mafi a rivedere i bucolici appesi, e che io prenderò in giro perché per anni mi ha definita stonata sentendomi cantare Azzurro, ma da poco ho avuto la riprova che lei è molto più stonata di me! E quindi, in questa cenetta combinata in quattro e quatt'otto, lei, la padrona di casa, mi ha chiesto: ma una torta cioccolato e pere non la sai fare? O una mousse di pere non si può fare? Che le pere son di stagione adesso! Correva un tempo in cui tra di noi andava alla grande la bavarese di fragole, ma quella delle buste, che Ilaria mal sopportava e ancor oggi mi prende in giro per quelle bavaresi (con immensa ragione)... e per un riso allo stracchino, definito da ospedale. Avevamo solo 25 anni all'epoca, quante risate, quante fatiche sui libri, ma quante risate soprattutto. L'università ci ha unite per la vita ormai. T'è andata bene, Ilaria, non è stagione di fragole adesso... E quindi, Mafina, eccoti accontentata! Certo, non sapendo se l'esito sarà positivo, ho fatto anche una crostata con le pere... senza cioccolato però. Domani o dopo pubblico pure quella!

per 4 bicchieri

purea di pera
1 kg di pere williams
120 g di zucchero
1,5 l d'acqua

mousse di pera
200 g di purea di pera
80 g di panna montata
6 g di gelatina in fogli
60 g di albume d'uovo

salsa di cioccolato
60 g di panna liquida
60 g di cioccolato fondente
1 cucchiaino di cacao
zenzero candito (regalatomi da Stella, vedi ricetta)

Sbucciate le pere e tagliatele a tocchi. Mettetele in una pentola con l'acqua e lo zucchero a cuocere circa 15 minuti. Scolatele dolcemente su una griglia e asciugatele. Frullatele e ricavatene una purea: ve ne servirà circa 200 grammi. Preparate poi una meringa italiana: fate sciogliere 70 g di zucchero con 20 g di acqua, portateli alla temperatura di 121° C e incorporate lo sciroppo ottenuto agli albumi che avrete iniziato a montare due minuti prima. Lasciate sbattere fino al raffreddamento della meringa. Ottenuto un composto spumosissimo, denso, liscio e lucido, scaldatene un pochino e fateci sciogliere la colla di pesce, bagnata e strizzata. Montate la panna e mescolate piano la meringa, la panna e la purea di pera. Versate il composto in stampini o bicchierini e mettete in frigo a rapprendere qualche ora. Quando la mousse si è un po' rappresa, procedete con la salsa di cioccolato: fate sciogliere il cioccolato a bagnomaria con la panna e il cacao. Lasciate intiepidire e versatene poi un lieve strato sulla mousse livellandola (se invece usate gli stampini, versatela alla fine, quando sformate). Tritate lo zenzero candito e terminate la composizione del bicchierino spolverizzando anche con qualche scaglia di cioccolato.

lunedì 20 ottobre 2008

biscotti al tè affumicato e nocciole delle langhe



Un post veloce, che devo riprendere a lavorare e mi attende una giornata densa. Innanzitutto buon lunedì! Oggi una proposta divertente e, per me, dal sapore insolito. Sabato siamo stati all'Arte del ricevere che,per chi è di Milano, è sicuramente posto noto per i tè e soprattutto per una grande competenza. Ebbene, lì ho scoperto solo una parte, infinitamente piccola, lo so, di modi di impiegare il tè anche nel cibo. E ho assaggiato dei biscottini deliziosi e fatto due chiacchiere con Michela Lavaggi, shop manager del negozio, davvero gentile. Tra l'altro ho aggiunto a sinistra nel link dei corsi di cucina anche quelli organizzati dall'Arte del ricevere, Longevi-tea. Io ho tradotto a modo mio questi biscotti al thé fumé Oolong e nocciole. Il tè oolong è tipico della Cina e, questo tipo che ho preso io, Crocodile, va dosato in 2-3 grammi per 150 ml di acqua a 90° per 6 minuti.

per circa 30 biscotti

150 g di burro
250 g di farina
120 g di farina di riso
60 g di zucchero
1 stecca di vaniglia
1 pizzico di sale
1 uovo
8 g di tè Oolong fumé
qualche nocciola tonda delle Langhe

Mettere in un mixer il burro, le farine, lo zucchero, i semini di mezza stecca di vaniglia grattati, il sale e frullate fino a che il burro abbia assorbito la farina. Aggiungeteci da ultimo l'uovo, qualche nocciola e le foglioline del tè. Fate una palla e tenetela in frigo a riposare un'oretta. Poi stendetela col mattarello ad un'altezza di quasi un cm e ricavatene le formine che andrete a cuocere a forno già caldo a 180° fino a doratura (circa 15 minuti). Il sapore è un po' inconsueto, rilascia le note dell'affumicato e del tostato della nocciola. Mi son piaciuti.

giovedì 16 ottobre 2008

deep purple



E vabbé, son caduta nella trappola modaiola del viola! Certa che non siano una novità, queste patate violette, le avevano fatte anche Sandra e Adrenalina, è altrettanto certo che una persona che ha un blog di cucina dovrebbe essere curiosa verso qualsiasi cibo e provare tutto ciò le si presenti davanti. Io sono esattamente così. Quando me le son viste a Vicenza, da Gigi e Raffaella (fruttivendoli acuti e sensibili)... come resistere? E poi, perché resistere? In fondo, di un kilo di patate si trattava. Semplicemente chic nella loro sfumatura purpurea. Dentro e fuori. Credo siano originarie della Francia queste che ho preso, e siano la varietà Vitelotte, soprannominate anche truffes bleues (tartufi blu). Nessuna elaborazione chimica, il colore deriva da un pigmento naturale, l'antociano, presente anche nelle more, nelle viole, nella pelle delle melanzane.

Avrei potuto sbizzarrirmi in qualsiasi ricetta, ma il tempo è quel che l'è, direbbero a Milano. Trovo fantastica l'interpretazione di Cerveni, io ci ho fatto solo dei semplici gnocchi. Non vi so dire quante patate, quanta farina. Ho fatto ad occhio. Le patate assorbivano benissimo la farina, non ne è servita molta, devo dire. Li ho conditi con dei gamberetti, dei pomodorini tagliati fini e qualche dadino di pancetta affumicata fatti rosolare in un goccio d'olio con uno spicchio d'aglio. Poi, per completare la cena in viola, ho fatto un'insalata di cavolo rosso tagliato fine, noci macadamia spezzate in due e fettine di primosale. Deliziosa, devo dire.

lunedì 13 ottobre 2008

timballo di grano saraceno con crema di verza e fichi



...e Adina scoprì il grano saraceno decorticato. Adoro il suo sapore, ma solo sotto forma di farina l'avevo usato, e ci avevo fatto degli gnocchi e una torta, splendida, oltre ai classici pizzocheri. Ma il grano saraceno in grani, beh, ecco, mai l'avevo visto prima. Sono dei granellini fatti tipo piramidine, tipo un farro, un orzo. E hanno quel sapore di noce tostata, di grano saraceno semplicemente. Ci ho fatto un timballo e poi, visto che faccio sempre di necessità virtù, avevo in casa della verza (che ormai in frigo iniziava ad essere ingombrante) e alcuni fichi residui di stagione, beh... li ho abbinati. Mai avrei immaginato. Il sapore della verza così deciso, col dolce dei fichi. Parevan fatti l'uno per l'altro.

per 4 timballi

150 g di grano saraceno decorticato
200 g di verza mondata e tagliata
2 cucchiai di parmigiano
1 cipolla
2 fichi neri
50 g di zucchero
olio extravergine, sale e pepe
1 noce di burro e pane grattugiato

Iniziate dalla verza, che metterete a cuocere con un goccio d'olio e la cipolla affettata fine, sale e pepe. Quando inizia ad appassire lievemente, aggiungetevi un bicchiere d'acqua. Regolate di sale, se serve. Fate sobbollire qualche minuto, senza far assorbire tutta l'acqua. Poi tritate il tutto con il mixer ad immersione. Per la marmellatina di fichi, ho semplicemente fatto caramellare un fico tagliato a pezzetti con lo zucchero per qualche minuto e poi ho frullato il tutto. Nel frattempo cuocete il grano saraceno come fosse un risotto. Fatelo un po' tostare in una padella antiaderente con la cipolla tritata e un goccio d'olio finché sprigionerà il suo profumo. Aggiungeteci dell'acqua e fate cuocere circa 18-20 minuti (leggete preventivamente le istruzioni sulla confezione del grano saraceno, il mio diceva 18 minuti). Verso fine cottura mantecate con un paio di cucchiai di crema di verza e un paio di cucchiai di parmigiano. Imburrate degli stampini e passateci il pangrattato, poi riempiteli con il grano saraceno, schiacciando bene. Metteteli in forno caldo in una teglia riempita con un dito d'acqua. Non devono cuocere, solo rimanere caldi qualche minuto e prendere la forma. Sistemate la crema di verza sui piatti, disponete il timballo al centro e decorate con qualche punta di marmellata di fichi e volendo con dei fichi freschi.

giovedì 9 ottobre 2008

gita fuori porta



Mi sono incantata ed ero estasiata nel guardare tutte quelle vigne! Non ci avrei più staccato gli occhi. Tutte allineate e dritte, geometrie perfette e dolci in una gradazione ininterrotta, e solo qua e là qualche tetto rosso, sparute stradine bianche, sentieri. Forse perché ho qualche forma di devianza mentale per quanto riguarda l'ordine (vi ricordate?), le Langhe mi son sembrate il mio territorio. Perfetto. Eravamo di ritorno da una giornata al mare, il cielo si stava facendo livido ma, man mano ci si avvicinava al territorio del bue grasso, del vino, dei bolliti, delle nocciole, dei formaggi, di quanto di meglio la gastronomia possa offrire, ecco, un raggio di sole, tenue. Un paesaggio reso evanescente da una nebbiolina congenita, e verde smeraldo. Di passaggio da Carrù, una sosta a Dogliani, una festa per le vie, per approdare infine ad Alba. Nella terra di colui che fu Luigi Einaudi. Un piattino di carne cruda col tartufo direttamente in macelleria, un mezzo panino con la toma gustato per strada. Cosa si vuole di più? Ero piena e tronfia. Mi è parso di aver mangiato il meglio, ben consapevole che molto di più avrei potuto fare. Ma il cibo è spesso la situazione che lo rende perfetto. Ho fatto incetta di carne per il bollito, di nocciole tonde gentili, di toma, di farina meliga otto file (meria d'eut fire), di plin tradizionali e al tartufo...
Ovviamente ho tralasciato i vini, in un sol giorno non si può fare tutto. Ma in tardo autunno vorrei tornarci. Cosa non dev'essere quello sterminato panorama di filari in quella stagione?

Segnalo:
pranzo del gran bollito di Carrù (Palafiera in Piazza Div. Alta Cuneense), 7-8 dicembre 2008
98ma Fiera Nazionale del bue grasso a Carrù, 11 dicembre 2008




le paste di meliga e la farina otto file



Siccome era parecchio tempo che cercavo la farina otto file, non ho potuto non prenderla. E toccarla, per sentirne la finezza. Quasi impalpabile, più che la farina maranelo. La farina otto file è una varietà antica non modificata geneticamente. Quella che ho preso io viene coltivata in Alta Langa, a Castino, ed è chiamata così perché la pannocchia ha otto file di chicchi che formano quattro coppie. E' detta anche meliga del Re, e non si trova di tipo commerciale perché la sua purezza consente agli agricoltori di riseminare i chicchi delle pannocchie migliori, cosa impossibile per i mais ibridi o transgenici. Viene lavorata a macine di pietra naturale a lenta rotazione, che permettono di produrre una farina integrale che contengono e il germe e la fibra alimentare della meliga. E qui vi lascio la ricetta delle paste di meliga, biscotti tipici del Piemonte (che adoro), così come è stampata nella confezione della farina otto file Cascina delle Grazie.

100 g di farina di meliga otto file
100 g di farina bianca
100 g di burro
90 g di zucchero
1 pizzico di sale
1 cucchiaio di lievito
4 tuorli d'uovo

Io l'ho solo un po' riadattata, perché il signore che me l'ha venduta mi ha detto che, se ci riuscivo, sarebbe stato meglio fare 130 di farina otto file e 70 di farina bianca. E così ho fatto. Impastate tutti gli ingredienti, prima il burro e lo zucchero, poi le uova, il sale e man mano le farine col lievito. Mettete in frigo a rassodare un'oretta, poi mettete l'impasto nella tasca del pasticcere con un beccuccio largo un centimetro e zigrinato. Armatevi di forza, schiacciate bene e ricavate dei biscotti col buco. Cuocete 15 minuti a 180 gradi. (volendo potete aggiungere la scorza del limone, poca.)

venerdì 3 ottobre 2008

e il maryland coi suoi granchi



Questa bimba è Francesca, la figlia bellissima degli amici di Cri: la miglior accoglienza che potevamo avere una volta arrivati ad Annapolis, nel Maryland. Sì perchè, dopo New York, una settimana l'abbiamo trascorsa in questa regione e non ci siamo fatti mancare davvero nulla, da Washington, al barbecue, alle pannocchie, alla gita sull'oceano all'isola di Assateague, ai granchi, alle passeggiate coi cani, ai bagel al salmone, al farmer's market vero vero, alla festa per i 40 anni di un amico. Sì, quelle feste americane, nel giardino di una di quelle casette di legno colorate, che pareva una house beach (bella però!!).

Annapolis è la capitale del Maryland, ed è lì che siamo stati. Ad Annapolis c'è l'Accademia Navale degli Stati Uniti, c'è un porto e c'è una baia, la Chesapeake Bay, c'è il mare che si insinua tra le colline, e splendide abitazioni che lambiscono le sponde, immerse spesso nei boschi. Annapolis fu la capitale degli Stati Uniti nel 1783 e per circa otto mesi. Si sviluppò grazie al commercio del tabacco. Ad Annapolis fu portato Kunta Kinte dove venne poi venduto ai proprietari di una piantagione. Ve lo ricordate Radici? Roots? Ecco, quello. Annapolis è una cittadina vivace, turistica, colorata. A tratti pare un po' francese, vi sono dei negozi davvero belli, e case del XVIII secolo più che in ogni altra città degli Stati Uniti.

E poi il Maryland è la patria del pesce e soprattutto dei granchi! Se vuoi una cena tipica, granchi d'estate e ostriche d'inverno. Con champagne o con birra (io voto per la seconda in questo caso).
I granchi li abbiamo mangiati "spartani" in un posto davvero divertente, una robusta carta da pacco al posto della tovaglia, e menu a volontà che comprendeva granchi bolliti rovesciati, letteralmente, sul tavolo, martellini di legno per sgusciarli, pannocchie, gamberetti e pollo fritto (la presenza del pollo non l'ho molto compresa). Il tutto innaffiato di Old Bay Seasoning. Queste scatolette gialle e blu di Old Bay Seasoning le ho sempre avute in casa, perché Cri me le aveva portate qualche anno fa. Ma solo quest'estate le ho sapute apprezzare davvero! Old Bay è un mix di spezie ed erbette, sale, peperoncino, zenzero, semi di senape, il sapore ricorda leggermente la paprika, ma è davvero unico. Viene prodotto proprio nella baia di Chesapeake e, se posso fare una libera associazione, la scatolina ha anche i colori di Annapolis, giallo e blu!

E poi li abbiamo anche mangiati più "eleganti", i granchi, in una cena preparata appositamente per noi da Claudia, la nostra amica: crab soup del Maryland e crab cakes, presi al Seafood Market di Annapolis. Le crab cake sono, molto ordinariamente, delle polpette di carne di granchio e pane. Più polpa contengono, più sono pregiate, e talvolta sono servite dentro al panino, tipo hamburger. Le nostre erano davvero ottime, delle mega polpette passate al forno dal sapore lieve e delicato. La zuppa invece, vi lascio la ricetta sotto, quella originale di Claudia. Non spaventatevi, è ricca di panna, certo. Io pensavo una mappazza... invece si lascia mangiare, un piattino non disturba, ed è gustosissima.


Maryland Cream of Crab Soup
30 min (5 min prep, 25 min cooking, per 2-3 persone)

4 tbsp (60 g circa) burro non salato
2 tbsp (30 g circa) farina bianca
1 tsp (5 ml, un pizzico direi) Old Bay Seasoning
1 tsp (5 ml... fate un po' a occhio, dai :-)) cipolla tritata
1 tbsp (15 g) succo di limone
6 ounces (170 g) polpa di granchio
16 fluid ounces (circa mezzo litro) di panna
prezzemolo e un goccio di brandy per guarnire

In una padella sul fuoco medio fate sciogliere il burro, aggiungete l'Old Bay Seasoning, la cipolla, il limone e mescolate. Aggiungete la farina mescolando sempre e, gradualmente, versate la panna, sempre mescolando. Aggiungete la polpa di granchio e fate sobbollire per circa 15 minuti, senza far raggiungere mai il bollore pieno. Servite con una spruzzata di brandy e se vi va del prezzemolo.