mercoledì 23 aprile 2008

la torta zucchina



Questa è la torta della mia mamma. Quella che le riesce sempre, perchè è l'unica per cui segue sempre la ricetta. Le altre le vengono sempre diseguali. La pastiera, tipo, che già fa a modo suo, è sempre diversa. Così come la crostata e la torta al limone. Però son sempre buone, o quasi, talvolta mette certi ingredienti che solo lei sa cosa siano. :-)
Dovete sapere che mia mamma, nonostante sappia che sia orgogliosa del mio bloggetto e ci scherzi un po' su, non è una grande fan de la cucina di Adina... a casa non mi fa cucinare quasi mai, così ho deciso che la lascio fare e non metto becco più. La vera Adina è lei in fondo! Quando l'ho chiamata al telefono per chiederle questa ricetta, s'è messa a ridere.
Vuoi la ricetta della torta zucchina?
La torta che?
La Zucchina! dice lei (e io ci metto una bella Z maiuscola, che la zucchina è la zucchina).
Ah... la chiami così?
Beh, è fatta con le zucchine. :-)
Non fa una grinza.
La ricetta che qui riporto è fatta con il cedro (lo dovevo finire dopo il risotto), ma la versione originale prevede limone e solo limone (l'ho provata anche col lime, buona pure con quello, ma non ditelo alla Giuly, che le ho modificato la ricetta).

200 g di zucchine (circa 2 piccole o una grande)
50 g di scorza grattugiata di cedro (o di un limone)
200 g di farina
200 g di zucchero
120 g di olio di oliva
2 uova
una bustina di lievito
zucchero a velo e il succo di un cedro (o di un limone)

Frullate bene la scorza del cedro con lo zucchero, aggiungetevi poi le zucchine crude e lavate. Frullate il tutto, ma non troppo, non deve diventare troppo liquido. In una ciotola sbattete le uova e uniteci pian piano il composto di zucchine e l'olio. Da ultimo incorporate la farina setacciata con il lievito e mescolate ben bene, il composto sarà verdino e cremoso. Infornate a forno caldo a 180° per circa 40 minuti. Poi arriva il tocco dello chef :-). La Giuly dice che fa una glassa trasparente con lo zucchero a velo e il succo del limone (nel mio caso cedro), ma va ad occhio. Sforna il dolce, lo fa raffreddare e poi fa dei buchini sulla torta che permettono alla glassa di penetrare all'interno, conferendo il sapore del limone. Io non ci ho fatto i buchini, lo ammetto, e la glassa era poca, giusto per dare un pizzico di sapore in più. Ma provateci, quella della mia mamma è migliore della mia!

martedì 22 aprile 2008

stordix!



Nulla di cui vantarsi. Era diventata una sfida ormai. I falafel!! Questo piatto fantastico della cucina araba e mediorientale. Due volte li ho fatti, prima di questa e due volte ho fallito. Leggevo ricette su ricette e mi dicevo che così difficile non doveva poi essere... in fondo, delle polpettine di ceci, pochissimi ingredienti... eppure, seguendo passo passo tutti gli step, mi sembrava che sì, le palline venissero, ma poi, appena messe nell'olio... puf, lo squagliume... Avevo tediato Stella e anche Simona, la mia débâcle sembrava senza rimedio. Dove sbagliavo, dove? Leggo e rileggo, finché non trovo un forum che raccomanda che i ceci NON devono essere cotti, assolutamente. Non devono, capito?? Ma, mi dico, e le ricette che ho letto finora? Le rileggo, e? Non vanno cotti i ceci, solo ammollati. Tutte le ricette lo dicevano. Pure Stella me l'aveva detto! Leggevo che non dovevano cuocere, ma ero convinta fosse scritto il contrario. Nella mia testa cotti andavano? E cotti li facevo... allo sbando!! Il terzo tentativo è andato a buon fine però!! :-)

400 g di ceci
1 cipolla tritata
1 mazzo di prezzemolo tritato
2 spicchi d'aglio
2 cucchiaini di cumino
1 cucchiaino di coriandolo (io non l'ho messo :-))
olio per friggere
pepe e sale
sesamo (facoltativo)

Lasciate in ammollo i ceci per 24 ore. Trasferiteli, CRUDI, nel frullatore con la cipolla, l'aglio, il prezzemolo, (i semi di coriandolo), il cumino, un pizzico di pepe e il sale. Frullate fino ad ottenere un impasto non troppo fine ma omogeneo. Lasciate riposare in frigo per 1 ora. Con il composto formate delle polpette piccole o medie, passatele nei semi di sesamo, e friggetele nell'olio bollente, girandole dolcemente. Se avete difficoltà a formare le palline, potete aggiungere uno o due cucchiai di farina. L'impasto non dovrebbe sgranarsi nel fare le palline.

domenica 20 aprile 2008

là dove c'erano le fabbriche



Sono sempre stata attratta dalle fabbriche, dalle aree dismesse delle grandi aziende che sono state dei simboli per la nostra economia. Da quelle costruzioni bellissime ed imponenti, dove le mille finestre che nascondevano e nascondono il mondo operaio si susseguono parallele, lineari, senza indugio e senza un fiore, dal cemento e dalle ciminiere di mattoncini rossi. Avrei voluto viverle, capirle, essere in quei tempi. E a Milano di aree così ve ne sono parecchie. Una Milano in bianco e nero, come tante fotografie di Mario De Biasi. L'urbanistica ottocentesca del centro man mano che si esce dalla città, ma senza crearne una ferita precisa, lascia il posto a un'edilizia industrale di grande valore architettonico. La storia di Milano mi incuriosisce come se io fossi nata qua, forse per questo ne conosco le vie, i luoghi, il volto, la giro, la vivo, mi appartiene.



Il Salone del Mobile con il suo Fuorisalone rende Milano viva. Maia, un'amica di Roma che non veniva qui da qualche anno, l'altro giorno mi ha detto che Milano le è sembrata molto europea. Io che ci abito, e che qualche città europea la conosco, non mi dà quotidianemente questa impressione, dal di dentro. Ma sabato mattina zona Tortona, il cuore della Milano post moderna, delle fabbriche restaurate e ristrutturate e trasformate e genio pulsante che fa vibrare tutta quell'economia che va dalla moda al design era bella più che mai. In questi giorni sembra davvero un'altra città, o forse, una città che si sta risvegliando. Mi è sembrata vivacissima, il sole che la graziava dopo giorni di pioggia. C'era tanta gente che passeggiava curiosa, pavoneggiandosi anche, atteggiandosi e scodinzolando in quello che è probabilmente l'unico sito italiano con una così grande concentrazione di aziende moda e design e arte e cultura.



Spesso paragonate alla crescita di Soho a Londra e di Soho e Chelsea a New York, in queste vie gli spazi industriali sono stati rivalutati e positivamente sfruttati, un legame con il passato più vicino, dopo un'età di sonnolenza. Se il Salone del Mobile fa deviare l'attenzione sugli oggetti per chi è del settore, il Fuorisalone concede il privilegio a tutti di scoprire lo spazio aperto, le vie Savona e Tortona e Voghera e Bugatti e Bergognone, un (ex) mondo industriale che ha visto gli operai dell'elettrica Ansaldo, delle Poste, delle acciaierie Riva-Calzoni, della General Electric, della Nestlé. E questo è un bene. Per me è stato un grande piacere entrare e scoprire questo nuovo mondo, al di là di quello che in questi immensi loft era contenuto. Acciaio, finestre immense su giardini in ghiaino, con sedie a sdraio d'altri tempi, e gelsomini e siepi, a contenere e separare. Colori vivi contrapposti al cemento, al cromato, ai mattoncini.

E per restare nel tema di questo blog, non poteva mancare un piccolo appuntamento culinario. Tanti ve ne sono stati di showcooking, come li chiamano quelli che parlano bene, con Moreno Cedroni, Filippo La Mantia, Rico Guarnieri, ecc... io ho scelto Csaba Dalla Zorza, alla Whirlpool, in collaborazione con Kitchen Aid. Csaba, "nome ungherese maschile, perché al padre veneziano piaceva così", ha fondato la casa editrice Luxury Books . Un passato di tutto rispetto, quello che tutti noi vorremmo, trasformare una passione in qualcosa di concreto. Come lei, scuola al Cordon Bleu a Parigi, "peggio che fare il militare", e poi la casa editrice, i libri, i corsi di cucina, "passo il mio tempo a testare le ricette per i libri, vado a letto pensando a cosa cucinerò il giorno dopo". Ed è brava davvero nella sua eleganza e finezza parigina.



Sabato ha donato delle ricette semplici: bacon e uova strapazzate del collega australiano Bill Granger, che ci mette un cucchiaio di panna ogni uovo utilizzato, "così diventano morbide e l'apporto calorico resta minimo", dei muffin ai lamponi con farina integrale, uno smoothie ai frutti di bosco e delle focaccine. Dal 23 aprile andrà in onda, per coloro che hanno Sky, ogni mercoledì alle 20.05 e ogni venerdì alle 23.

martedì 15 aprile 2008

il mio risotto con cedro e pistacchi


Ci sono ricascata, son tornata al D'O. Non ci spreco (?) altre parole, ma vi regalo qualche fotina fatta. In compenso, altra ispirazione per altro risotto, davvero delicato, di quelli che non stufano. La ricetta è come l'ho fatto io ma, nella sua semplicità, potete adattarlo come volete.

250 g di riso carnaroli
la buccia di un quarto di cedro
40 g di pistacchi
2 cucchiai di pesto di pistacchi
1 scalogno
brodo vegetale
1 cucchiaio di parmigiano
1 noce di burro


Preparate la buccia del cedro grattugiata e i pistacchi, precedentemente tostati un po', tritati fini. Fate tostare il riso in una pentola antiaderente, senza grassi aggiunti, per circa cinque minuti. Versateci pian piano il brodo. A metà cottura del riso, aggiungetevi lo scalogno tritato finissimo, un cucchiaio di succo di cedro e metà del cedro grattugiato. A fine cottura, versateci la restante buccia, spegnete e mantecate col parmigiano e il burro. Decorate con la polvere e il pesto di pistacchi.*



* io avevo un vasetto di pesto di pistacchi preso a Roma, da Castroni, ma volendo lo potete fare seguendo questa ricetta qui.




....passando da San Pietro all'Olmo, sabato a pranzo, quasi un anno dopo, sempre il D'O, sempre magnifico. Ma le vedete questa quenelle e la palletta così belle e lucide dai colori vivissimi sopra ai dessert? Erano dei sorbetti, ma così buoni!! L'uno di mango, sopra a una mousse Ivoire (cioccolato bianco), l'altro di vino. E belli, precisi, decisi!

venerdì 4 aprile 2008

esotico esotico, ma du puntarelle con la mollicata...



Dopo tutti gli esperimenti esotici che ho provato nei giorni scorsi (qui ne ho pubblicati solo un paio, ma ho fatto anche i noodles, il pollo con le mandorle, gli spaghetti di riso con verdure e senza... e ho anche in mente altre cose a dire il vero), prendo una pausa, perché ogni tanto un bel piatto di pasta ci sta solo bene. Le puntarelle le adoro! Le ho sempre mangiate crude, e così ho provato a farle cotte. Si potrà? Non lo so se esiste, o se qualcuno mi insulterà per aver ammazzato un'erba (?) così croccante. Ma ci ho provato, ed erano molto buone. Le ho cotte però nel wok, rispettando un po' la loro freschezza, con un po' di olio, qualche acciuga e un paio di spicchi d'aglio. E le ho servite con questa fantastica mollicata, rubata in un libro di Ciccio Sultano.

garganelli
puntarelle
2 acciughe
aglio, sale, olio extravergine di oliva

per la mollicata siciliana o muddica atturrata

200 g di pangrattato
6 cl di olio extravergine
30 g di cipolla
1 spicchio d'aglio
20 capperi
3 olive verdi (io ho usato le nere)
1 acciuga (io non l'ho messa)
2 pomodori ciliegini

Tritate tutti gli ingredienti senza il pane e farli rosolare nella padella con metà olio (i pomodori per ultimi, quando tutto è appassito). Lasciate asciugare, unite il pangrattato, regolate eventualmente di sale, versate il restante olio e mescolate. Per la tostata, continuate a mescolare su fiamma media fino ad ottenere una doratura uniforme con l'olio completamente assorbito. Fate attenzione a non bruciarla.

Cuocete la pasta al dente dente, poi versatela nel wok dove avete cotto le puntarelle e saltatela qualche istante. Servite con una spruzzata di mollicata. Buon we gente!!

giovedì 3 aprile 2008

riso rosso con pollo al sesamo

Sempre perché mi è venuta un po' la mania di sapori diversi. L'ispirazione è venuta da delle magnifiche mazzancolle al sesamo preparate da Anna qualche sera fa. Io qui non ho fatto grandi cose. Il riso è uno splendido riso rosso semi integrale del vercellese, Ermes si chiama (nasce dall'incrocio tra il riso Venere, a granello medio e pericarpo nero, ed un riso di tipo indica, a granello lungo e stretto e pericarpo bianco), che necessita di lunga cottura, e i semi di sesamo e di senape hanno conferito buon sapore e croccantezza, diverso dal mio solito. Un piatto diverso dal mio solito.

per due

mezzo petto di pollo
180 g di riso rosso
1/4 di cipolla rossa
1 cucchiaio di sesamo nero
1 cucchiaio di senape bionda in grani
1 cucchiaio di miele
olio, aglio, sale e pepe

Mettete a bollire il riso in acqua salata, per circa 50 minuti. Nel frattempo, iniziate a preparare il pollo. Fate rosolare le cipolle tagliate a fettine sottilissime in un filo d'olio. Tagliate a listarelle il pollo e aggiungetelo alle cipolle. Salate e pepate. Fate cuocere, sempre mescolando. A metà cottura, aggiungete un cucchiaio di miele, mescolando sempre finché si è sciolto e successivamente il sesamo e i grandi di senape tostati. Finite la cottura. Scolate il riso, e ripassatelo per circa 10 minuti in un wok con un filo d'olio e due spicchi d'aglio. Preparate i piatti, adagiando il pollo sul riso.

sabato 29 marzo 2008

crème brûlée al latte di cocco e miele



Chi ha tempo non aspetti tempo. Ho la pizza in forno, sarà pronta tra 10 minutini. La domenica sera pizza, no? Anche voi? Per me è un po' un rito, da quando andavo all'università e con Laura si tornava la domenica sera e non avevamo mai voglia di cucinare. E quindi il rito era un toast, un pezzo di pizza, del caffelatte con la torta della mamma o della nonna. Ma questo non c'entra nulla col post. :-) Parliamo di quello che ho fatto ieri. Latte di cocco, mai preso prima in vita mia. Poi, in onore della festa per la donna, il post in giallo che avrei dovuto fare e che non ho fatto, era prevista nel mio cervellino una ricetta con il cocco e il mango. Passata pure quella. Ma il latte di cocco era rimasto (e pure il mango, devo dire). Poi un giorno con Anna e Stella siamo andate da Kathay, e così ne ho preso un'altra lattina. Serve dire anche che quella gita da Kathay, con annesso pranzo cinese, mi ha stimolato non poco il desiderio di provare a cucinare qualcosa della cucina orientale, araba, dei gusti diversi insomma, complice anche il fatto che Stella mi ha contagiata non poco! Prova certi prodotti mai sentiti, e cucina certe stranezze buonissime! E con tutto questo latte di cocco che avevo in casa, cosa ci potevo fare?

250 ml di panna
150 ml di latte di cocco
2 uova intere
2 tuorli d'uovo
20 g di noce di cocco disidratata (o fresca grattugiata)
1 cucchiaio di miele
50 g di zucchero
zucchero di canna

Sbattete le uova con lo zucchero fino ad ottenere un composto spumoso. Mettete a scaldare la panna, il latte di cocco e il miele in un pentolino, fino al primo cenno di ebollizione. Togliete dal fuoco e versateci il composto spumoso di zucchero e uova. Insaporite col cocco grattugiato. Sistemate in piccoli ramequin e metteteli in una teglia. Versate dell'acqua nella teglia fino a raggiungere circa metà altezza dei ramequin. Mettete in forno caldo a 120° per circa un'ora. Al momento di servire (dopo almeno un paio d'ore), cospargete la superficie della crème brûlée con un cucchiaino di zucchero di canna e bruciatelo al grill o, se l'avete, con la pistola apposita.

.. ah, la pizza è pronta!!

giovedì 27 marzo 2008

marmellata dal "fumo di londra"



Ancora una marmellata, ma in fin dei conti è solo la seconda che faccio... Questa ha il sapore del viaggio a Londra che ho fatto con le mie preferite qualche settimana fa. Tre giorni di grandi passeggiate e lunghe chiacchiere. Londra, con il giallo fiorire dei daffodils, dei narcisi, imbevuta di nebbiolina e primavera.
Tappa obbligatoria quasi, il Borough Market, ma davvero di passaggio. Ho comprato il rabarbaro, che a Milano è raro. Erano le 9 di mattina e quei gambi di rabarbaro fiammanti ci hanno accompagnate tutto il giorno nella borsa di Simona... l'indomani li ho rifilati nello sgabuzzino dell'ostello, al buio, ben conservati.... hanno poi sopportato un viaggio in aereo e, quando son tornata, non potevano resistere molto in frigo. Così una notte di qualche giorno dopo, guardandoli nel frigo ancora croccantelli ma meno freschi di due giorni prima, mi sono impietosita... e lì per lì, l'unica cosa che potevo fare (era mezzanotte passata!!) è stata una bella

marmellata di rabarbaro e lime

400 g di rabarbaro (tre bei gambi)
120 g di zucchero
il succo di un lime
la buccia di due lime

Per il procedimento, ho fatto esattamente come per la marmellata di ananas. Tagliate il rabarbaro ben lavato a pezzettini e portatelo a ebollizione con lo zucchero in una pentola, schiumando un po'. Spremeteci il succo e aggiungetevi la buccia di un lime e mezzo (io non l'ho grattugiata, ma tagliata a listarelle sottili, zest, così si sentono in bocca quando si mangia).Volendo potete aggiungere un po' di zucchero, il rabarbaro è asprigno e un po' di zucchero in più ci può stare. Verso la fine di cottura, aggiungeteci la restante parte della buccia del lime, che rimane così più verde e croccante. Terminate la cottura. Versate la marmellata ancora calda nei vasetti puliti e lavati, riempiendoli bene, chiudete e girateli sottosopra tutta la notte. E' davvero ottima, questo esperimento del lime con il rabarbaro mi ha soddisfatta proprio.

martedì 25 marzo 2008

ma guarda che si son inventati...

Vabbé vabbé, questo post è lì pronto (o quasi) da Natale. Ma siamo a primavera e anche Pasqua se n'è passata. Ma poi, non è un qualcosa, questa torta, che trova il suo tempo a Natale, almeno a parer mio. Torno quindi a parlare della mia terra d'origine, perché i Veneti alla terra ci sono molto attaccati. Terra come campagna, terra come radice profonda dalla quale slegarsi diventa esilio, terra come identificazione di un popolo, terra come cibo povero, terra impareggiabile, come diceva Quasimodo.
Ho sempre pensato che i Veneti avessero una marcia in più. Ma non perché sia di parte. Io i Veneti li guardo spesso con sana circospezione e critica. Sono grandi lavoratori, grandi imprenditori, molti venuti dalla terra, dalle fiere origini contadine, sono imprenditori con la canottiera, almeno quelli di un tempo. E nel mio sguardo migliore che riservo loro, sono dei fantasisti, dei piccoli geni.
A Natale mi è stata donata questa torta. Le vedete quelle zampette lì? Quelle del gato? Ma voi la conoscete la filastrocca che dice vicentini magnagati (padovani gran dotori, veneziani gran signori, veronesi tuti mati), no? Leggo in un Giornale di Vicenza di qualche anno fa che i vicentini parrebbero essersi guadagnati l'appellativo di magnagati nel 1698, quando una grande invasione di topi aveva terrorizzato la città e, malgrado vari tentativi di combatterli, la situazione era così grave che Venezia dovette intervenire inviando un esercito di gatti! C'è un'altra ipotesi sulla provenienza del termine magnagati, teoria di origine fonetica, che trova fondamento nelle parlate locali: per dire "hai mangiato?" si può dire a seconda che si sia nell'antica Venezia o nel dialetto padovano o vicentino "ti ga magnà?", "gheto magnà", "gatu magnà?".
E te pareva che non si inventassero un dolce che identificasse a pieno la loro già forte identità? Molto campanilisti, pochi mesi fa, i pasticceri dell'Associazione Artigiani si sono riuniti per inventare La Gata, un dolce, una tortina secca, con un punto fermo: la ricetta contiene solo prodotti naturali, alcuni tipicamente del territorio, come la grappa e la farina di mais. la confezione è divertente, contornata da immagini dei migliori monumenti di Vicenza e dentro... questo simpatico stampino per lo zucchero a velo... attenti, xè pasà la gata! E questa volta la potete pure mangiare!

mercoledì 12 marzo 2008

super pon pon



Questi biscottini mi hanno fatto fare una riflessione su di me. Li vedete come sono carini, nella loro forma tondeggiante, delle piccole dalie, dove si percepisce appena la screpolatura dei petali, dei batuffoletti. A me ricordano molto quei fiori bianchi che sembrano dei pon pon, forse si chiamano proprio dalie pon pon, ma non me ne intendo molto a dire il vero. :-) A me quei fiori son sempre piaciuti, ma mai avrei pensato di fare, di mio, dei biscotti così.. come dire, vezzosi, leziosi. E invece, eccoli qua. La riflessione su di me è che son un po' simmetrica nelle mie cose. Mi piace la geometria, la simmetria, mi dà il senso dell'ordine. Se appendo dei quadri, mai li metterei in ordine sparso... se sistemo le sedie attorno al tavolo, devono guardarsi precise, l'una di fronte all'altra. Sono piccole manie, certo, ma quando entro in libreria e vedo le pile di libri tutte sconclusionate... mi trattengo parecchio dal metterli in riga tutti! :-)) Invece la Silikomart, questa azienda che produce stampi alimentari in silicone, mi ha proposto una collaborazione chiedendomi di preparare delle ricette coi loro stampini. Ho trovato l'idea carina, io quelli stampi li usavo già (invero a casa ne avevo uno per i biscotti, rettangolari però!!) e sono dei prodotti molto buoni. E così mi son ritrovata a fare queste piccole dalie... trovo che queste forme diano simpatia.

175 g di burro a temperatura ambiente
40 g di zucchero a velo
1 cucchiaino di vaniglia
120 g di farina bianca
40 g di farina gialla finissima

Mescolate bene il burro con lo zucchero a velo e la vaniglia fino ad ottenere un composto cremoso. Aggiungetevi la farina bianca setacciata e quella gialla. La ricetta prevede poi che il composto venga messo nel sac-à-poche, che gli venga data la forma che si vuole e che si cuocia in forno a 180° per circa 20 minuti. Io ci avevo provato un po' di tempo fa, ma il risultato è stato che in forno si era sciolto tutto e avevo ottenuto dei biscotti informi e piatti... magari avevo sbagliato qualcosa io. Questa volta, invece, forte del mio stampino nuovo, ho ben pensato di mettere il composto negli stampi in silicone e devo dire che il risultato è stato soddisfacente davvero!! In fondo anche Sigrid lo dice quando fa i suoi sablés aux olives...

lunedì 10 marzo 2008

fregola al verde, dopo un bel we



No, ma scusatemi, io non riesco a starci dietro. Potrei inventare mille scuse, ma il blog va curato, e l'unica motivazione che ho io per non starci dietro è che mi manca il tempo. Ora, che si fa? Ne ho pensate molte, ma alla fine non lo voglio mica mollare il mio spazio virtuale di piccole invenzioni ed esperimenti. Non ho nemmeno l'ansia di non postare, sia chiaro, solo che mi spiace non seguirlo a dovere. Non voglio nemmeno tediare nessuno con le mie frenesie lavorative (la mia giornata inizia spesso alle 9 e finisce alle 21), e leggevo giustappunto ieri sul Corriere che l'ansia a Milano è una malattia, che non c'è stacco, che quel "tutto gira intorno a te" spesso mi rappresenta in pieno... ma sono indietro col meme dei segreti, con tanti post, col cucinare proprio, e non son riuscita a mettere la ricetta in giallo, nonostante avessi preso un mango (che magari starà diventando molle nel cassetto del frigo) e un barattolo di latte di cocco. Io, ve lo giuro, lo stacco lo darei volentieri, molto! Non son fatta per tutto 'sto casino, o forse in parte (ma solo in parte) sì. Per staccare son dovuta (povera me :-)) andare a Londra tre giorni. Almeno mentalmente ho staccato. Un mondo bello, Londra, un mondo della mia gioventù. Un mondo che dentro all'ostello, visto con gli occhi di quei diciottenni che forse mi guardavano come dire "che ci fa quella lì a quell'età che ha, in ostello" (perché anch'io dicevo così, alla loro età), appariva ancora molto roseo e scanzonato. Una swinging London, dove a Carnaby Street non c'è più nemmeno l'ombra di una dr. martens o di qualche altra "metallareria", ma dove, in fondo,tutto è rimasto quasi immutato nel tempo, nonostante Londra mi sembri una delle città più evolute sotto tanti punti di vista.
La ricetta c'entra poco, l'avevo fatta qualche settimana fa. Ma oggi è grigio, e son così stanca che potrei addormentarmi sulla scrivania... e quindi una zuppa ci può pure stare no? E' solo sana!

Trattasi di una preparazione facilissima, non vi indico quantità, ognuno si regoli secondo il gusto. Io qui avevo usato la fregola (già l'avevo proposta una ricetta), il cavolo nero, le cime di rapa, il sedano, dei piselli, la cipolla, uno spicchio d'aglio, dell'olio buono, del pepe, un pizzico di noce moscata, un pizzico di curcuma, del peperoncino. Fate imbiondire la cipolla e uno spicchio d'aglio. Aggiungete l'acqua, le verdure e la fregola, un po' di sale grosso e le spezie. Cuocete per circa 15 minuti. Un giro di pepe e d'olio e c'est tout.

mercoledì 27 febbraio 2008

snack: il polpo arrossito



Il polpo già l'avevo fatto, incontrava allora la riccia, ricordate? :-) Poi incontra spesso anche delle patate, delle olive, e del sedano, nella sua versione più classica. Io ho voluto fare una prova, e abbinarlo a... sotto vi dico con cosa, ma qui ci tenevo a dirvi che il rosso la fa da padrone, perché mi piace che ci sia un filo conduttore a volte in quello che cucino, soprattutto se è semplice, come questo piatto. Mi mette allegria. Vado un po' di corsa (alla faccia delle giornate sulla lentezza.. dove sono?) ... ho anche un meme da fare, su invito di Stella, domani o dopo mi applico. :-)

un polpo (vi dico, anche surgelato!) (c'è del rosso)
due finocchi
una cipolla (rossa)
un'arancia (rossa)
un pizzico di peperoncino (rosso)
un cucchiaio di aceto
olio extravergine
sale (rosso)
3 pita (pane schiacciato)

Innanzitutto fate cuocere il polpo in acqua non salata, ma con mezzo limone dentro, per circa 30 minuti (anche più, dipende dalla grandezza del polpo). Nel frattempo 1) tagliate i finocchi in quarti e scottateli in una padella appena unta d'olio e coperta con un foglio di alluminio, 2) lessate per qualche minuto le cipolle rosse a fettine sottili e fatele raffreddare, 3) sbucciate mezza arancia e pelatela a vivo, eliminando le pellicine, e spremete il succo dell'altra mezza, 4) preparate una vinaigrette col succo d'arancia spremuto, un paio di cucchiao d'olio, l'aceto, il peperoncino, il sale rosso. Quando il polpo è cotto, fatelo raffreddare nella sua acqua di cottura, poi sgocciolatelo e tagliatelo a listarelle. Conditelo con la vinaigrette e aggiungetevi i finocchi. Scaldate appena le pita e riempitele col polpo. OT-TI-ME! :-)

martedì 26 febbraio 2008

torta di sempre, con cioccolato e lamponi



Beh, oggi mi sono alzata presto, prima del solito. Il cielo è nebuloso, bianco e tristarello. Non riuscivo più a stare nel letto, io sono una di quelle persone che quando si svegliano si alzano, non riescono a ciondolare sotto le coperte. Piuttosto faccio colazione, come adesso, e il latte è troppo caldo... e i pensieri vanno alle cose dell'ufficio che scadono. Vita infame.
Una ricetta al cioccolato, tutta intendo, non l'avevo mai pubblicata, no? Che stranezza... e sì che amo il cioccolato, anche se alla fine non lo mangio quasi mai. E sì che le torte di cioccolato sono tra le più diffuse. E sì che questa che vi presento, insieme alla mia torta di mele, è un mio classico di sempre. Da Stella un qualche sabato fa (mangiato bene proprio!), il nostro pasticcere di fiducia ci aveva fatto dei muffin al cioccolato e lamponi. Come la mia torta di sempre! Eccola.

180 g di burro
180 g di cioccolato fondente
3 uova
250 g di zucchero
280 g di farina
1 cucchiaino di lievito in polvere
50 g di farina di mandorle (o mandorle tritate fini)
70 g di lamponi

Sciogliete il cioccolato col burro in un pentolino, a bagnomaria, e lasciate che si raffreddino qualche minuto. Riunite in una ciotola le uova e lo zucchero e sbatteteli con una frusta fino ad ottenere un composto spumoso e denso. Incorporatevi pian piano le due farine, il lievito, il cioccolato fuso e quasi tutti i lamponi (tenetene qualcuno per decorare). Mescolate bene amalgamando tutti gli ingredienti. Foderate una tortiera di circa 20 cm di diametro di carta forno o imburrate, e versate il composto, che sarà abbastanza denso. Infornate circa 35 minuti a 180°. Potrebbe servire qualche minuto in più se la tortiera è più piccola. Sfornate. L'interno deve risultare quasi bagnato, ma è il suo buono. Spolverizzate con lo zucchero a velo e servite con dei lamponi freschi.

domenica 24 febbraio 2008

marmellata di ananas, vaniglia e anice


Eccomi qua, dopo breve pausa. Ogni tanto serve, per raccimolare forza, idee, e concentrarsi su ciò che nella vita riveste maggiore importanza. Poi abbiamo finalmente traslocato con lo studio, almeno dieci giorni di fatiche, ancora non terminate. Ma adesso, nonostante il tutto sia ancora in fase assolutamente provvisoria, nonostante lo scanner non sia a pennello, il programma della contabilità non funzioni per nulla, io sia indietro con le scadenze e mi toccherà lavorare la notte questa settimana, devo ammettere che guardare fuori dalla finestra immensa della mia stanza e vedere una luna piena e tronfia sopra dei palazzi bellissimi mi rende orgogliosa a tal punto che tutto il resto passa quasi in secondo piano. Perché la luna è la mia amica di sempre, ve l'avevo mai detto? :-)
Torno con una ricettina facile, che però mi ha dato una grande soddisfazione. Un po' perché le marmellate non le avevo ancora provate a fare, un po' perché credo mi sia venuta bene, almeno a me piace! :-) Ha la consistenza bella, con i pezzi di frutta, non gelidificati ma morbidi. I consigli e l'ispirazione li ho presi da un numero di Saveurs, dove Corinne, che assieme a Gil gestisce il Domaine de la Cavalière nella regione delle Alpilles francesi, insegna come fare le confitures d'estate e le truffes d'inverno. Ciò che più mi ha colpito è stato il suo metodo: mai coprire la marmellata che bolle, mescolarla sempre, raschiare le pareti col cucchiaio di legno, là dove s'annida la pectina della frutta, non schiumare, ma far assorbire piano piano, non aggiungere stabilizzanti artificiali, è sufficiente il succo di un limone o i semi di quest'ultimo fatti macerare in un po' d'acqua, aggiungere solo alla fine qualche spezia. Forse sono consigli che tutti sanno, ma per una dilettante delle marmellate come me, sono stati preziosi. Io avevo dell'ananas che mi era rimasta, per cui ho pensato di trasformarla in marmellata aggiungendo dei semi di anice.
Ne ho fatto solo un vasetto, moltiplicate le dosi se volete farne di più.

500 g di ananas tagliata a pezzetti
150 g di zucchero
mezzo bastoncino di vaniglia
un cucchiaino di semi di anice
mezzo limone

Fate macerare l'ananas a pezzetti con lo zucchero un paio d'ore. Spremete mezzo limone, tenete il succo, e fate macerare i semi in un bicchiere con un dito d'acqua. Portate a ebollizione la frutta e la stecca di vaniglia mescolando bene per circa un'ora, non schiumando, fintanto che la schiuma si è assorbita. Togliete la vaniglia, versateci l'acqua dove avete fatto macerare i semi del limone, date due giri col mixer a immersione, non frullando tutto, solo un po' (l'ananas è un frutto che tende a restare compatto), e metteteci i semi d'anice. Quando il composto non fila più sul cucchiaio, abbassate il fuoco, e aggiungete il succo del limone. Versate la marmellata ancora calda nei vasetti puliti e lavati, riempiendoli bene, chiudete e girateli sottosopra tutta la notte.

venerdì 1 febbraio 2008

mara mi ha cacciato in un bel guaio.. :-)

Ma bello nel senso vero: bello!!!! Mara è la mia cuoca sentimentale per eccellenza, colei che riesce a cuocere i migliori pani e a fotografarne le superfici tali da sembrare quadri di Fontana! E, causa mia, mica si è inventata un meme, per me?
Un gusto nella mente di Dio, lo definisce John Lanchester... quindi, mi applico?

mela verde e formaggio asiago
fichi e prosciutto crudo
uova e asparagi
maiale e mele
olive e capperi (...e tonno)
cozze e patatine fritte
fagioli e cipolle crude
arance e cipolle
broccolo romanesco e pomodoro secco
polenta e baccalà

Ora non mi resta che girarlo ad altri 5 bloggers, di cui solo 3 food&wine. Scelgo: Michela Streghina, Pisolina, Remo e Stefano, Sandra e Orchidea.

p.s. è vero, sono stata stringata, eh? allora, il meme consiste nell'elencare 15 (ma Mara gentilmente mi ha concesso di scriverne 10) accoppiamenti di cibi che nella vostra mente, palato, stanno bene insieme, che si completano, che si esaltano, che si stimolano, che uno da solo sì, ma con l'altro rasenta la perfezione!